Energia Popolare per il PD e per l’Italia

Leggi la piattaforma politico-congressuale a sostegno di Stefano Bonaccini segretario del Partito Democratico

“Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno”
Enrico Berlinguer

La mia storia è simile a quella di tante migliaia di militanti della sinistra italiana. Sono nato e vivo tutt’ora in un paese della provincia di Modena, Campogalliano, di poco più di 8000 abitanti. Sono cresciuto in una famiglia orgogliosamente iscritta al Pci, da cui ho tratto i valori e le cose importanti della vita, che a mia volta provo a trasmettere alle mie figlie. Anche per questo ho iniziato a interessarmi alla politica quando non avevo ancora vent’anni. Debbo quindi ringraziare i miei genitori, ma anche maestri come Giorgio Baroni e Daniele Sitta: nomi che a molti non dicono nulla, ma che sono state figure fondamentali per me e per un gruppo di ragazze e ragazzi, più o meno della mia età, che grazie a loro entrarono nella sezione, poi in consiglio comunale. Mentre muovevo i primi passi nei movimenti per la pace e nella Fgci, ho anche avuto l’opportunità di fare l’assessore a Campogalliano: lo racconto per dire che quel partito – in generale i partiti in quel tempo – erano comunità dentro cui si cresceva: ai giovani veniva chiesto di fare la gavetta, ma poi c’era un’attenzione alla loro formazione, una disponibilità ad affidargli responsabilità e a misurarli sul campo. È qualcosa che credo sia necessario rimettere al centro nel Partito Democratico dei prossimi anni.

È così che per me la passione politica è diventata prestissimo anche amministrazione della cosa pubblica: ho imparato senza quasi accorgermene che rappresentare e amministrare significa stare in mezzo alle persone e ascoltare, rispondere e ascoltare ancora. Misurarsi con i problemi concreti e trovare soluzioni possibili, combattere per difendere chi non si può difendere da solo, ma soprattutto cambiare dovunque sia necessario cambiare, per dare risposte ai bisogni di chi rappresentiamo.

La storia della sinistra italiana è sempre stata una storia collettiva. E la storia del Partito Democratico è prima di ogni altra cosa la storia di una comunità.

Se guardo alla mia storia, so che ho avuto dalla politica molto più di quanto avrei mai potuto immaginare. Per questo affronto con serenità questa sfida: non ho rendite di posizione da difendere e posso battermi con passione per le cose in cui credo.
Ci stiamo interrogando sull’identità del nostro partito ed è giusto che sia così. Io lo faccio partendo dalle donne e dagli uomini con cui ho condiviso tante battaglie, esperienze, gioie, discussioni: parlo di gente comune, come la mia famiglia, che ha deciso di spendere una parte del proprio tempo e della propria vita per i valori in cui crede. Ho una certezza: non c’è proprio nulla da rinnegare o buttare via in quel che sono e in quel che rappresentano queste persone. In quindici anni di storia del PD ripenso a tante fatiche, errori, inciampi, difficoltà. Qualche bellissima vittoria e non poche, amare sconfitte. È la nostra storia.

Spesso il Partito Democratico non è stato all’altezza delle nostre aspettative, del bisogno di giustizia sociale e cambiamento per cui lo abbiamo fondato. La sinistra non è tale se non alza lo sguardo oltre l’orizzonte e se non sogna di costruire un mondo migliore. Esiste per questo. Quando abbiamo fallito, è perché abbiamo mancato a questa promessa. O perché abbiamo trascurato quelle cose essenziali da cui sono partito: l’ascolto, la capacità di rappresentare bisogni e aspettative, la determinazione nel provare a dare risposte.

La nostra gente ha sogni ma non vive sulle nuvole. Non è la necessità di compromessi a deludere i nostri elettori, come troppo spesso sento dire. Quella è la vita, e con essa la politica. Lo sanno bene i nostri amministratori, che ogni giorno combattono contro le difficoltà e fanno i conti con i tanti problemi e con i limiti che il governo quotidiano presenta. E non è nemmeno la concretezza, anche quando difficoltosa, a demotivare iscritti, volontari, elettori. È casomai l’incapacità di tenere insieme il sogno e la risposta concreta, di dare voce e rappresentanza a chi si sente impotente o invisibile; è l’incoerenza di perdere la direzione, l’obiettivo, la ragione di fondo.

Allora questo è il tempo di riprendere il filo, di riaffermare le nostre ragioni, di ribadire il nostro obiettivo. Noi siamo la sinistra delle donne e degli uomini che si battono per la giustizia e per l’uguaglianza. E siamo una comunità perché sappiamo che solo insieme si può costruire una società dove a tutte le donne e a tutti gli uomini siano riconosciuti uguali diritti e doveri e dove tutti abbiano pari opportunità. A prescindere dalla condizione economica e sociale di partenza, dal luogo in cui si nasce, dal colore della propria pelle e dalla propria religione, dal proprio orientamento sessuale e dalla diversa abilità. È questo il mondo migliore che vogliamo costruire per noi e per i nostri figli e le nostre figlie.

Il nostro obiettivo storico non è solo combattere contro le diseguaglianze, ma anche superarle, siano esse economiche o sociali, territoriali, di genere o generazionali.

Ci chiamiamo Partito Democratico perché stiamo dalla parte della democrazia, perché una società più giusta è anche una società più unita, in cui tutte e tutti possono vivere meglio e in pace, dove tutte e tutti possono dare il proprio contributo alla comunità. La democrazia non vive oggi di buona salute: è sotto attacco non solo dall’esterno, come ci dimostra l’invasione dell’Ucraina, ma anche dall’interno, come ci hanno mostrato gli assalti di Capitol Hill a Washington o del Parlamento di Brasilia. Chiamarsi Partito Democratico non è poco: significa avere questa consapevolezza e un obiettivo nobile per cui battersi. Ce lo hanno insegnato i nostri padri e le nostre madri, i nostri nonni e le nostre nonne con la Resistenza e la lotta di Liberazione al nazifascismo.

La destra soffia sulle paure e alimenta le diseguaglianze, noi invece vogliamo costruire fiducia e giustizia. La destra alza muri per dividere, noi invece vogliamo costruire ponti per unire. La destra pensa che spetti al mercato risolvere tutto, come se fosse un fine e valore in sè. Noi crediamo invece che il mercato sia uno strumento, peraltro imperfetto, mentre i valori sono il lavoro, la dignità e i diritti delle persone. E soprattutto crediamo che ci siano diritti, come quello alla salute e all’istruzione, davanti ai quali non ci deve essere distinzione tra ricco e povero. Perché chiunque ha il diritto alle migliori cure disponibili e la scuola deve tornare ad essere un ascensore sociale per cui, a prescindere dalla famiglia di provenienza, tutte e tutti abbiano la possibilità di studiare, di affermare il proprio talento, di realizzare le proprie aspirazioni. C’è poi un ulteriore paradosso: proprio quella destra che vuole delegare al mercato i diritti, pensa invece che lo Stato possa decidere come si deve nascere, vivere, amare e morire. Noi, al contrario, affermiamo che spetta ad ogni individuo compiere queste scelte, e pretendiamo che la politica rispetti e riconosca l’identità e le libere scelte di ciascuno.

Questi non sono valori che vivono in astratto. Sono concreti, sono parte della nostra comunità, sono i valori condivisi dal nostro popolo. È l’energia di questo popolo che ha portato i più grandi avanzamenti nella storia del nostro Paese e a livello internazionale: le lotte per la difesa dei lavoratori e per i diritti delle donne, per la sanità pubblica e per una scuola che sia strumento di emancipazione per tutti. E poiché è nei momenti di difficoltà che si riscoprono le proprie radici, sono convinto che le nostre radici e la nostra identità siano fatte di questa energia popolare: della passione e dell’impegno di donne e uomini che, insieme, vogliono cambiare questa società per renderla migliore.

Energia popolare per un grande partito democratico, per difendere e promuovere la democrazia e i diritti di libertà sanciti dalla Costituzione italiana.
Energia popolare per un grande partito ecologista, per proteggere il pianeta e restituirlo più vivibile ai nostri figli e nipoti, così come noi lo abbiamo ricevuto da chi c’è stato prima di noi.
Energia popolare per un grande partito laburista, per dare voce e rappresentanza a tutti coloro che lavorano, siano essi dipendenti o autonomi, per migliorare la loro condizione e per offrire a tutti l’opportunità di una buona occupazione.
Energia popolare per un grande partito progressista, per difendere ed estendere i diritti civili, politici e sociali, che non debbono mai essere disgiunti ma debbono anzi camminare insieme.
Energia popolare per un grande partito europeista, per costruire un’Europa federale, più unita e più giusta come motore di sviluppo nella pace e nella fratellanza tra i popoli.
Energia popolare per un grande partito che combatta contro tutte le mafie e per la legalità, contro ogni forma di corruzione e sopraffazione.

 

Queste sono le ragioni che mi hanno spinto a candidarmi alla segreteria del Partito Democratico. Ho fatto un passo avanti e chiedo a voi di fare altrettanto. Perché ho imparato dalla mia terra che per andare veloci è meglio andare soli, ma per andare lontano occorre andare insieme agli altri.

“Un partito che non si rinnovi con le cose che cambiano,
che non sappia collocare e amalgamare nella sua esperienza
il nuovo che si annuncia e il compito ogni giorno diverso,
viene prima o poi travolto dagli avvenimenti,
viene tagliato fuori dal ritmo veloce delle cose che non ha
saputo capire e alle quali non ha saputo corrispondere”
Aldo Moro

Il Partito Democratico che serve all’Italia

Il Partito Democratico è nato per dare rappresentanza all’Italia del lavoro, della coesione sociale, dello sviluppo economico e della sostenibilità ambientale. Un grande partito di sinistra e popolare, riformista e plurale che ha ereditato le culture politiche che hanno scritto la Costituzione e su cui si è costruita la democrazia italiana nel secondo dopoguerra. Radici profonde ma sguardo lontano: lo abbiamo fondato per unire ciò che prima era diviso nella convinzione profonda che solo una grande forza politica a vocazione maggioritaria possa cambiare il Paese.

È nei momenti più difficili che si torna alle proprie radici: per questo abbiamo rivendicato la bontà del progetto e del Manifesto dei valori che ne è il fondamento: non per cristallizzare l’esistente, perché sappiamo che in questi anni l’Italia e il mondo sono profondamente cambiati e con essi dobbiamo cambiare anche noi, ma per ribadire la funzione profonda per la quale il PD lo abbiamo fondato.
Le sconfitte degli ultimi anni, fino all’epilogo del 25 settembre, ne hanno indebolito proprio la funzione: il Partito Democratico è oggi a rischio di irrilevanza, a fronte del Governo più marcatamente di destra che la l’Italia abbia conosciuto nella storia repubblicana. Rifondare il PD non è dunque un fatto che riguarda solo noi, ma la qualità stessa della democrazia del Paese; che ha bisogno di un’alternativa concreta e disponibile a questa destra. È questa la sfida che abbiamo davanti, questa la natura del Congresso che affrontiamo.
Siamo chiamati ad alzare lo sguardo e a dare risposte alle sfide principali dell’Italia: anche ora, dall’opposizione, se vogliamo essere l’alternativa credibile e possibile. Un’opposizione “governante” quindi, che non smarrisca il senso della propria funzione e non si rifugi mai nella testimonianza, che accanto ad ogni no sappia sempre indicare una controproposta migliore, che abbia la maturità di collaborare con la maggioranza laddove possibile o necessario nell’interesse del Paese.

Il PD deve tornare a fare il PD, fino in fondo

Nell’immediato, significa ricomporre la propria fisionomia: usciamo dall’autoflagellazione quotidiana che viviamo dal 25 settembre scorso. Torniamo a svolgere il nostro compito in rapporto coi bisogni reali dell’Italia, anche dall’opposizione. Con una nuova agenda politica e una nuova classe dirigente immediatamente in campo.
Infine, nella consapevolezza che il percorso non sarà né semplice né breve, terremo aperta e daremo maggior forza alla natura costituente di questa fase, che non si esaurisce certo col Congresso: perché ciò che deve tornare ed entrare nel PD non è una classe dirigente che se n’era andata, ma un popolo che non abbiamo più saputo rappresentare. 7 milioni di elettori in 15 anni ci hanno abbandonato, rivolgendosi altrove o rifugiandosi nell’astensionismo: l’unica alleanza che siamo chiamati a costruire oggi è con loro, con le cittadine e con i cittadini. Perché non ci sarà alcuna alternativa possibile e credibile di centrosinistra senza un Partito Democratico più grande e robusto. E perché noi torneremo al governo del Paese solo quando lo chiederanno gli elettori col proprio voto.
Vocazione maggioritaria non significa autosufficienza o isolamento. Significa viceversa rimettere il PD al centro di un’alternativa possibile.

Un grande partito nazionale ed europeo

Il PD serve all’Italia anche nella misura in cui sa rispondere a due esigenze essenziali per il tempo che viviamo e che ci aspetta: rivolgersi a tutti gli italiani con una proposta pienamente nazionale e ancorare il nostro Paese alla casa comune europea. In un tempo di fratture crescenti, noi vogliamo unire il Paese. Ad un’Italia che corre a troppe velocità diverse e che ha visto aprirsi fratture crescenti tra territori forti e deboli, tra condizioni economiche e sociali della cittadinanza, tra donne e uomini, tra generazioni, la destra risponde in modo sbagliato. E a questa risposta siamo chiamati ad offrirne una migliore.

La prima risposta sbagliata della destra è quella di contrapporre i territori forti a quelli deboli, contrabbandando il principio dell’autonomia sancito dalla Costituzione con quello dell’egoismo territoriale. Noi crediamo, viceversa, che l’autonomia sia un valore nella misura in cui avvicina le decisioni ai cittadini, semplifica la vita delle persone e delle imprese, migliora la qualità delle risposte ai bisogni del territorio. Al centralismo crescente di questi anni rispondiamo con la voce dei nostri amministratori sul territorio: vogliamo meno burocrazia e maggiori risorse per le autonomie locali perché non ci sono sviluppo economico possibile, servizi sociali ed educativi efficaci, investimenti e qualità urbana migliori se non si mettono le amministrazioni locali nelle condizioni di programmare bene e gestire in modo efficiente. Ma, ancor prima, non c’è sviluppo possibile se non all’interno di un progetto nazionale che faccia crescere di più e meglio i territori in difficoltà. Il Mezzogiorno, anzitutto, dove tutte le fratture e le contraddizioni si concentrano con maggior intensità. Ma lo stesso vale per le aree interne, per i territori rurali e montani, per le periferie e i centri minori. Autonomie forti in un Paese forte significa avere un progetto nazionale e strumenti coerenti per realizzarlo. Fu così quando si concepì un grande sistema nazionale di istruzione pubblica e così quando si si diede vita al Servizio Sanitario Nazionale; oggi questi pilastri sociali vivono attraverso le autonomie scolastiche (ancora troppo deboli) e la gestione dei sistemi regionali (esangui dopo il Covid e ora abbandonati dal Governo). L’errore di contrapporre il centro alla periferia produce solo un indebolimento dei sistemi nazionali e della gestione territoriale. Un Paese forte, che vive grazie ad autonomie altrettanto forti, deve viceversa riaffermare e potenziare l’universalità dei due sistemi e dei diritti essenziali ad essi sottesi; deve sostenere e valorizzare la capacità di gestione territoriale per corrispondere al meglio ai bisogni formativi e di cura dei cittadini. Per farlo serve un grande partito nazionale che si rivolga all’Italia e a tutti gli italiani.

Il secondo errore macroscopico che commette la destra è quello di non vedere o edulcorare le diseguaglianze economiche e sociali che si sono aperte e si stanno dilatando nella nostra società. Da decenni l’Italia cresce poco e ridistribuisce quindi poca ricchezza. Ma spesso non si considerano a sufficienza altri due aspetti, negativi e concatenati: da un lato accade che la poca ricchezza prodotta viene anche redistribuita male e la forbice sociale si amplia, a causa di salari che non crescono e servizi pubblici indeboliti; dall’altro, una cattiva distribuzione della (poca) ricchezza prodotta diventa a sua volta un fattore di crisi, perché riduce i consumi e la mobilità sociale di una platea sempre più ampia di persone. Noi crediamo viceversa che per crescere di più e meglio occorra non solo rafforzare le politiche per lo sviluppo (a partire da quelle industriali e dagli investimenti pubblici e privati), ma anche combattere e superare le diseguaglianze economiche e sociali, quale precondizione per la sostenibilità sociale e ambientale. Per questo è indispensabile sostenere i redditi da lavoro e combattere la precarietà, così come rafforzare e qualificare i grandi pilastri della protezione sociale. 

La terza questione attiene ai divari di genere, con conseguenze negative sul piano economico, sociale e della stessa natalità. In Italia le donne studiano di più ma poi trovano meno opportunità di lavoro e hanno più difficoltà di carriera rispetto agli uomini; a parità di posti occupati lavorano però meno ore dei colleghi maschi; e a parità di ore lavorate guadagnano infine di meno. In compenso, è sulle donne che si scarica la gran parte del lavoro di cura. L’effetto è presto detto: negli ultimi decenni l’Italia è cresciuta meno degli altri paesi europei, avendo un tasso di occupazione generale più basso a causa della sottoccupazione femminile. E l’invecchiamento della popolazione è cresciuto di pari passo con la contrazione della natalità, perché la conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita è risultata sempre più difficile. Anche a questo problema la destra offre una risposta profondamente sbagliata, immaginando che le famiglie faranno più figli e l’Italia starà meglio se le politiche del Governo consentiranno alle donne di non lavorare per assolvere ai compiti di cura. Una visione arcaica e inaccettabile, anzitutto, perché discrimina le donne e le relega al ruolo di madri e di custodi del focolare domestico. Ma anche una visione miope e contraddittoria, perché determina un impoverimento generale per il Paese sul piano economico e sociale. Viceversa, noi crediamo che donne e uomini debbano avere pari opportunità sostanziali e sia loro diritto e dovere concorrere parimenti allo sviluppo economico e sociale del Paese. Crediamo altresì che solo nella condivisione del lavoro e del lavoro di cura e nello sviluppo dei servizi educativi e di protezione sociale si determinino condizioni economiche e sociali favorevoli per il sostegno alla natalità. Per questo è indispensabile sostenere l’emancipazione economica e sociale delle donne.

La destra non contempla mai nella propria proposta e nelle proprie politiche la dimensione del futuro dell’Italia. I problemi sono sempre quelli immediati e le soluzioni sono di conseguenza pensate unicamente sul presente: che si parli di ambiente o di fisco, di lavoro o pensioni, il respiro della destra è sempre brevissimo. Ma un Paese che si ferma al presente è, per definizione, senza futuro. Per questo l’Italia non è un Paese per giovani. E anche noi in passato abbiamo mancato su questa linea cruciale. È la politica italiana, nella sua fragilità, ad aver accorciato lo sguardo. Le ragazze e i ragazzi faticano a trovare risposte e ad intravvederne per il proprio avvenire: per questo spesso scappano all’estero; per questo cresce la protesta per un sistema scolastico e di formazione che non riesce ad offrire sbocchi soddisfacenti; per questo si sentono abbandonati alla precarietà e tagliati fuori da qualsiasi ragionamento riguardi la previdenza. Serve quindi restituire respiro alla politica e alle politiche: se vogliamo che il Paese cresca di più e meglio occorre rimettere al centro le generazioni più giovani con progetti che abbiano al cuore il loro futuro.

Infine, l’errore strategico più grave della destra italiana è quello del sovranismo: immaginare cioè che l’interesse nazionale del nostro Paese possa affermarsi al di fuori e contro l’interesse comune nell’Unione Europea. È contro l’Europa che, dall’opposizione, avevano concepito una politica estera in sintonia con la Russia di Putin; solo la drammatica aggressione dell’Ucraina ha provveduto a smascherare questa scelta sbagliata, dimostrando che non può esistere una efficace politica estera e di difesa nazionale al di fuori dell’Unione europea. È contro l’Europa che, dall’opposizione, avevano stretto un asse preferenziale con le amministrazioni di Trump e Bolsonaro. Solo l’assalto eversivo a Capitol Hill e poi a Brasilia li hanno costretti ad ammettere la natura regressiva ed antidemocratica di quelle opzioni. Ed è sempre contro l’Europa che si è eretto l’asse politico interno all’Unione con i cosiddetti paesi di Visegrad, con l’Ungheria di Orban, con la destra francese di Le Pen; ma, oggi che al governo la destra è chiamata a gestire i principali problemi dell’agenda europea – dai profughi alla crisi energetica, dalla gestione del Next Generation EU alla revisione del Patto di Stabilità e Crescita – si trova costretta a confrontare il proprio nazionalismo con quello altrui. Un cortocircuito che rende l’Italia più sola e impotente. È una visione sbagliata a cui contrapponiamo la nostra, radicalmente alternativa: l’interesse nazionale italiano vive e può veder riconosciute le proprie ragioni solo dentro un’Unione europea federale più forte, coesa e solidale, in linea con gli ideali del Manifesto di Ventotene. Non c’è questione rilevante – dalla pace all’ambiente, dai migranti alla gestione del debito – che possa essere risolta in solitudine e contro il comune interesse europeo. E l’Italia non può autorelegarsi al ruolo di ospite scomodo in UE, ma deve svolgere fino in fondo il proprio ruolo di Paese co-fondatore per migliorare e rafforzare un’Europa ancora imperfetta perché insufficiente. 

Questi errori e queste contraddizioni della destra possono essere disvelati e combattuti dal PD: oggi dall’opposizione e domani nella competizione per tornare al governo. Ma per farlo serve un partito più forte e credibile, in grado di superare i propri errori e le proprie contraddizioni. E in grado soprattutto di avanzare una proposta più credibile per l’Italia.
È questo il PD che serve e noi, adesso, dobbiamo costruirlo.

Una nuova classe dirigente per una nuova agenda politica

Con la sconfitta elettorale del 25 settembre scorso si è chiuso un lungo ciclo politico, durato oltre 10 anni, nel quale abbiamo perso o “non vinto” in tutte le tornate politiche. Al tempo stesso, e quasi ininterrottamente, il PD si è ritrovato al Governo senza un mandato elettorale, con un peso specifico calante e una difficoltà crescente ad incidere e a determinare non solo l’agenda generale, ma anche a segnare punti apprezzabili di avanzamento rispetto ai propri obiettivi. Ci siamo fatti carico di responsabilità nazionali – un grande partito nazionale ha anche questo compito – senza riuscire però a corrispondere alle aspettative di una parte crescente dei nostri elettori. E la come le alleanze, anche la responsabilità non può mai diventare la ragione sociale di un partito.

Le ultime elezioni politiche hanno segnato una oggettiva discontinuità: la destra ha riportato una vittoria netta, resa ancor più forte da un centrosinistra profondamente diviso. Può quindi contare oggi su un mandato popolare e su numeri in Parlamento che non lasciano alibi per assolvere alla funzione di governo. E a noi quella di opposizione, con la necessità di costruire una nuova agenda politica e, con essa, una nuova classe dirigente. È fisiologico e giusto che le due cose stiano insieme, visto che in questi anni, pur con assetti via via cambiati, abbiamo avuto una certa continuità nelle persone che si sono alternate alla guida del partito e del governo.

Una classe dirigente nuova, da cui e con cui ripartire, non si improvvisa. E noi abbiamo bisogno di una forte innovazione, non di improvvisazione. Il PD dispone di molte donne e molti uomini capaci, a tutti i livelli: una parte di questi siede oggi nel Parlamento nazionale e in quello europeo, una gran parte opera invece nei territori, con responsabilità di guida del partito locale e delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali. Persone che hanno mandato avanti i circoli anche nei momenti più difficili – e questo è certamente uno dei più difficili – e che spesso hanno saputo vincere nelle competizioni locali anche quando il vento politico nazionale spirava in direzione opposta. Hanno vinto o recuperato consenso in forza di una credibilità personale e di gruppo, mettendo in campo esperienze e proposte che hanno conquistato voti al PD locale mentre li perdevamo a livello nazionale.

Il merito deve tornare ad essere il primo criterio di selezione della nostra classe dirigente e allora bisogna ripartire da qui: dalle ragazze e dai ragazzi, dalle donne e dagli uomini che hanno dimostrato sul campo di saper fare la differenza. Da chi può ora mettere a disposizione del partito nazionale quel patrimonio di esperienze, competenze, credibilità e fiducia costruito dal basso.
Per queste ragioni il nuovo gruppo dirigente attingerà a piene mani dal territorio: abbiamo un vivaio invidiabile da qualsiasi altra forza politica, è ora di farlo scendere in partita perché ci sia una nuova leva di titolari.

Un partito radicato

Da qui una considerazione più generale. Uno dei punti di forza del Partito Democratico è proprio il radicamento territoriale. Eppure negli anni abbiamo passato più tempo a enfatizzare le nostre fragilità che non ad investire su ciò in cui siamo più bravi e forti. Col risultato che anche il radicamento territoriale si è indebolito: i nostri amministratori sono sempre meno supportati dal partito locale, gli iscritti e i volontari appaiono scoraggiati perché non si sentono coinvolti nei processi decisionali. Serve un cambiamento, anche qui. E abbiamo tutti gli strumenti per invertire questa tendenza, insieme. Per ricostruire l’organizzazione del partito, per ridare senso e vigore alla militanza, per dare valore ai nostri eletti nei comuni, per costruire insieme un rapporto più solido e costante fra il partito nazionale e le sue strutture locali. Investire su una nuova classe dirigente significa anche rivolgersi ai più giovani, che pur nelle difficoltà risultano fra i maggiori sostenitori del Partito Democratico e delle sue posizioni nella società. Per avvicinarsi alla militanza è indispensabile che tornino ad essere protagonisti delle scelte della nostra comunità. Non può esserci una vera energia popolare senza la forza e le idee delle nuove generazioni. Per questo dobbiamo investire sulla formazione politica permanente, che accompagni la crescita delle democratiche e dei democratici.

Nella società, dalla parte giusta

Il PD che vogliamo vive nella società. Sta nei luoghi in cui la gente vive, dove studia e lavora, dove si cura e si diverte. È un partito che costruisce relazioni e collaborazioni con l’associazionismo, i sindacati e il Terzo settore.

Il PD che vogliamo è un partito che sostiene le battaglie giuste anche fuori dalle istituzioni, organizzando le persone e collaborando con le altre organizzazioni impegnate nel territorio.

Il PD che vogliamo sta dalla parte giusta. Con chi lotta contro le mafie e i sistemi criminali, contro ogni forma di sfruttamento e di sopraffazione. Ed è per questo che l’impegno politico non può non essere, prima di ogni cosa, impegno antimafia e per la legalità.

“Ho la paura della perdita della democrazia,
perché io so cos’è la non democrazia.
La democrazia si perde pian piano,
nell’indifferenza generale,
perché fa comodo non schierarsi”
Liliana Segre

Cosa intendiamo per una comunità democratica vitale e aperta?

Non esiste democrazia vitale senza partiti vitali, aperti e rappresentativi dei bisogni reali della società. Non esiste democrazia vitale senza istituzioni rappresentative efficaci, in grado di rispondere ai nuovi bisogni della società e di governare la modernità. La qualità della democrazia repubblicana dipenderà dalla nostra capacità di riformare le istituzioni per renderle più forti e inclusive, di ridurre il distacco dei cittadini dalla partecipazione elettorale, di restituire autorevolezza ai partiti dopo decenni di ubriacatura antipolitica.

La partecipazione è diminuita in molti aspetti della vita democratica, ed è certamente un trend globale, non solo italiano, ma rimane particolarmente preoccupante da noi in Italia. A partire dagli anni ottanta, la percentuale dei votanti è andata calando fino ad arrivare lo scorso settembre sotto il 64%. Una persona su tre non va a votare perché delusa o disinteressata. Pure i maggiori sindacati, nei primi due decenni del nuovo millennio hanno subito una perdita di iscritti che supera i 300.000 lavoratori. L’emorragia più grave però è la nostra: avevamo oltre 800 mila iscritti nel 2008, circa 370 mila nel 2018, solo poco più di 50 mila prima del Congresso. Tristemente, abbiamo perso il nostro primato di primo partito in Italia insieme al primato di partito con più militanti.

Già questi pochi dati evidenziano l’urgenza con cui bisogna rilanciare la partecipazione democratica, ma è necessaria una riflessione in più. Abbiamo consentito, come partito e come Paese, che il risentimento verso una classe dirigente spesso non all’altezza del proprio compito finisse per minare la nostra democrazia. Invece di riformare la politica e i partiti per il meglio abbiamo tagliato e compromesso aspetti importanti della nostra architettura democratica. Anzichè riportare all’efficienza le istituzioni e alla sobrietà i costi della politica, si è tagliata la rappresentanza a tutti i livelli, svuotato di funzioni e risorse le province, abolito circoscrizioni, negato le risorse al funzionamento della politica. Come partito dobbiamo essere capaci di difendere l’investimento nella democrazia, in tutte le sue forme, come fonte primaria di partecipazione e premessa di buon funzionamento dell’apparato pubblico. Ciò comporta anche rilanciare il processo democratico con i corpi intermedi, le rappresentanze sindacali e imprenditoriali, la società civile. Il loro coinvolgimento nella definizione e monitoraggio delle politiche pubbliche è uno degli aspetti chiave della trasparenza, efficacia e stabilità della politica e delle istituzioni democratiche.

La riforma del sistema politico e delle istituzioni è condizione indispensabile per il loro rafforzamento, anche di fronte al rischio di una loro perdita di prestigio e autorevolezza. Istituzioni deboli portano a una politica debole; ma una sinistra di governo che vuole rimuovere gli ostacoli economici e sociali alla libertà e all’uguaglianza ha invece bisogno di una politica forte. La forza delle istituzioni va realizzata nell’equilibrio tra capacità di rappresentanza e di decisione, e tra organi istituzionali diversi, in sistemi moderni di pesi e contrappesi. Se l’equilibrio viene a mancare c’è il rischio che la forza delle istituzioni si trasformi in arbitrio delle persone che si trovano a ricoprire cariche pubbliche, sfuggendo ai vincoli del diritto. Forza ed equilibrio vanno realizzate in un quadro di comprensibilità e di trasparenza, senza le quali non si ha un’effettiva responsabilità verso i cittadini. E se la destra riduce il tema delle riforme istituzionali al solo presidenzialismo, usato come grimaldello per indebolire la preziosa funzione di equilibrio del Quirinale, il PD si impegnerà invece ad affermare la possibilità e la necessità di un equilibrato programma di riforma istituzionale: bilanciando la riduzione del numero dei parlamentari con una legge elettorale che restituisca ai cittadini la prerogativa di scegliere i propri rappresentanti e favorisca al tempo stesso la stabilità di governo; rafforzando le prerogative di effettivo indirizzo e controllo del Parlamento, insieme ad una razionalizzazione del procedimento legislativo che riporti l’attuale debordante decretazione d’urgenza nel suo circoscritto alveo costituzionale; introducendo norme che limitino le crisi di governo e favoriscano i governi di legislatura sulla base delle esperienze delle democrazie parlamentari europee in relazione a fiducia, sfiducia ed elezioni anticipate. Al contempo il PD si impegna a favorire le nuove forme di democrazia partecipativa, innovando le procedure di proposta popolare della legislazione e referendarie, nonché rimuovendo gli ostacoli legati al digital divide.
Il Partito Democratico sostiene da sempre il valore dell’autonomia iscritto nella Costituzione, laddove correttamente declinato come strumento di rafforzamento dell’unità nazionale, di consolidamento della coesione sociale e di attuazione del principio di sussidiarietà. Per questo proponiamo una riforma dei livelli di governo che valorizzi l’autonomia regionale e locale in una logica cooperativa, attraverso il rafforzamento del sistema delle Conferenze e delle diverse forme di intesa tra Stato, Regioni ed Enti locali, contemplando anche la possibile introduzione di una Camera delle autonomie; e al tempo stesso proponiamo di controbilanciare una maggiore autonomia con una clausola di supremazia statale, sul modello di quanto già previsto in alcuni Stati federali, che assicuri la preminenza dell’interessenazionale laddove necessario. E riteniamo imprescindibile definire in Parlamento, con l’accordo del sistema delle autonomie, la preliminare definizione dei livelli essenziali delle prestazioni insieme ai relativi costi standard prima della sottoscrizione di intese con le singole Regioni in materia di autonomia differenziata.

Quello che possiamo fare fin da subito però, è rinnovare la democrazia interna, e con essa la partecipazione, del nostro partito. Serve un “partito piattaforma”: moderno nel suo assetto organizzativo, potente nella profondità e intensità della partecipazione degli iscritti, agile al vertice ed energico alla base.

Quali sono le nostre proposte per rivitalizzare il Partito Democratico?

  • Il rilancio dei circoli e della nostra partecipazione comunitaria: un partito vitale è un partito che vive innanzitutto dell’impegno e della passione dei propri militanti. Dobbiamo rilanciare la rete dei circoli in forme nuove, perché sono presidi insostituibili della comunità democratica: è essenziale riaffermarne la funzione di luoghi dove la passione politica anima il confronto permanente sui grandi temi della vita della nazione. I circoli devono essere il cuore della nostra comunità, luoghi di incontro sia fisico che digitale di militanti e attivisti, nodi fondamentali di una rete che sta in connessione con associazioni, sindacati, organizzazioni di categoria – abbandonando viceversa la concezione di un elemento di una struttura piramidale. Al tradizionale segretario di circolo possiamo affiancare il profilo di un Responsabile di Comunità capace di promuovere l’attivazione e la partecipazione degli iscritti, di comunità tematiche digitali aperte, dove attivisti e militanti possano direttamente confrontarsi con i parlamentari, con i sindaci e con gli altri rappresentanti istituzionali.
  • Una convenzione annuale del PD. Sul modello delle “conferenze di partito” promosse ogni anno dai grandi partiti progressisti europei, sarà incentrata sul ruolo degli iscritti, ma aperta anche alla partecipazione e al contributo delle associazioni della società civile e del volontariato, per definire la linea politico-programmatica del PD. Inoltre, sulle grandi scelte di fronte alle quali si troverà il PD, come le alleanze di governo e il programma su cui saranno fondate, dovrà essere sempre organizzato un referendum vincolante tra tutti gli iscritti. Nel contesto della convenzione annuale dovrà essere possibile discutere proposte o mozioni tematiche proposte da circoli e federazioni in modo da avere degli input dal territorio.
  • Una scuola di politica per formare la nuova classe dirigente e per ascoltare le sue proposte: è tempo che la competenza torni di moda e che l’agire politico e amministrativo siano pienamente orientati da valori e idealità forti. Per questo serve una scuola di politica seria. Nei nostri territori abbiamo giovani talenti di grande valore: è nostro dovere appassionarli, formarli, prepararli per il futuro del PD e del Paese. Il nostro partito e la Repubblica hanno padri e madri nobili da cui attingere a piene mani sul piano ideale; tante competenze interne ed esterne con cui animare approfondimenti tematici; tantissimi amministratori attraverso cui trasmettere conoscenze ed esperienze amministrative a chi si avvicina alla cosa pubblica. Ma è anche nel nostro interesse creare momenti di dibattito e discussione come momento di ascolto, dando alle nuove generazioni la possibilità di portare avanti i propri progetti e le proprie istanze. Una scuola che metta insieme le ragazze e i ragazzi, che sappia farli dialogare sul merito dei temi, liberandoli definitivamente da pretestuosi inquadramenti correntizi che troppo spesso hanno soffocato il loro entusiasmo. Dovremo anzi offrire loro tutti gli strumenti culturali e valoriali per rigettare logiche di tipo carrieristico che hanno fatto disamorare intere generazioni di militanti e simpatizzanti.
  • Una comunità per supportare gli amministratori locali: il Partito Democratico dovrà realizzare anche corsi e attività dedicate per formare le competenze dei nuovi amministratori locali, troppo spesso lasciati soli nella gestione della complessità dell’amministrazione pubblica (in particolare, sindaci e assessori dei comuni più piccoli e delle aree interne, consiglieri comunali e di quartiere, ecc). Tale attività costituirà anche una importante occasione di scambio di esperienze e di best practice.
  • Finanziamento sul modello europeo e microdonazioni: la politica non può essere un privilegio per pochi benestanti ma deve essere libera e autonoma. Per questo occorre ripensare con serietà e rigore ai suoi strumenti di finanziamento, a partire dall’attivazione di un meccanismo di finanziamento pubblico di stampo europeo che preveda per ogni partito l’opportunità di dotarsi di uno strumento che possa ricevere e rispondere in assoluta limpidezza dei contributi statali. Anche sul tema delle risorse assume un’importanza fondamentale lo sviluppo di forme di finanziamento (crowdfunding) che, sfruttando le potenzialità del web e della grande comunità democratica, permettano di promuovere progetti specifici attraendo contributi nel rispetto di una rigorosa trasparenza e tracciabilità. Ogni organizzazione territoriale potrà istituire una figura nuova e distinta rispetto a quella del tesoriere chiamata a stimolare militanti, attivisti e simpatizzanti al versamento del 2X1000 al momento della presentazione della loro dichiarazione dei redditi, prevedendo inoltre un meccanismo premiale che consenta di riversare una percentuale di quanto recuperato da ogni realtà territoriale in favore delle proprie attività.
  • Partecipazione attiva degli iscritti e degli elettori: un partito vitale è un partito democratico anzitutto al proprio interno. Un partito dove il potere di indirizzo appartiene agli iscritti e ai cittadini-elettori, dove la partecipazione di ognuno è strumento egualitario di espressione e di decisione per tutti e dove le diverse proposte di idee e di leadership si confrontano in piena libertà. In questo senso l’esperienza delle primarie introdotta dal Partito Democratico ha rappresentato una innovazione profonda della politica italiana, presa a modello anche in altri paesi europei. Uno strumento di partecipazione decidente, che va estesa anche alle proposte e ai programmi e che fa del PD l’unico partito italiano autenticamente fondato sulla democrazia interna, dalla quale non intendiamo tornare indietro.
  • Dare valore ai Giovani Democratici: la credibilità di un partito passa tanto anche dall’attenzione che questo dedica ai suoi militanti più giovani. La dedizione e il valore di militanti e dirigenti dei Giovani Democratici sono un patrimonio irrinunciabile che ci carica tutti della responsabilità di metterli al centro della nostra azione politica: non dobbiamo e non possiamo deludere la loro aspettativa di essere protagonisti di un ricambio generazionale organizzato e di qualità a ogni livello. Investire sui giovani significa, dunque, metterli nelle condizioni di contribuire al meglio alla vita del partito, garantendo loro agibilità politica e quindi capacità di incidere sui metodi e sul merito, sull’organizzazione e sulla politica. Il rinnovamento non può che partire da chi ha sempre scelto il PD con passione e impegno quotidiano, con battaglie importanti come quelle per i diritti degli stagisti, dei giovani precari, degli studenti e a tutela dei diritti umani e civili, stando in mezzo ai propri coetanei nei luoghi dove vivono, studiano e lavorano. Dare centralità ai giovani significa non aver paura del cambiamento e accettare la sfida di vederli valorizzati nei ruoli di partito e in occasione delle competizioni elettorali, nella consapevolezza che il rinnovamento non può essere svincolato dal merito e dalla capacità
    di portare avanti idee innovative e raccogliere consenso.
  • Gli stati generali degli iscritti all’estero: esiste un fenomeno sociale che accomuna tutto il Paese, da nord a sud: oggi sono oltre 6 milioni i cittadini che vivono al di fuori dell’Italia e, se calcolassimo oriundi e discendenti, potremmo arrivare a stimare tra gli 80 e 120 milioni di italo-discendenti nel mondo. Stiamo parlando della 21° regione d’Italia e probabilmente, ieri come oggi, il primo volano di diffusione dello stile di vita italiana, di cultura e soprattutto di competenze italiane a livello globale. Non esiste nessun’altra organizzazione o movimento politico storicamente più strutturato all’estero del nostro partito, che non a caso è il più votato fuori dai confini nazionali (7 eletti su 12 del PD alle ultime elezioni). Tuttavia, questa comunità necessita della stessa attenzione dei territori della nostra penisola. In altre parole, non più un trattamento da riserva indiana o da ospiti, ma da cittadine e cittadini a pieno titolo. Per questa ragione, una delle priorità è istituire «Gli Stati generali della 21° regione», da tenersi annualmente insieme alle Federazioni e ai Circoli del Partito Democratico all’estero, per confrontarci sui problemi e sui bisogni rispetto allo stato di attuazione delle politiche nei confronti delle comunità nel mondo.
  • Osservatori Democratici Permanenti per confrontarsi più volte l’anno con quella società civile e corpi intermedi che vogliamo rappresentare. Un osservatorio scuola per esempio, con i nostri rappresentanti, più i rappresentanti del settore e le associazioni per avere input nell’agenda programmatica e identificare le questioni cruciali da sostenere in Parlamento. Ma un osservatorio, in generale, per ogni tematica principale: lavoro, salute, ambiente, come un momento di confronto e scambio.
  • Una legge sulla democrazia interna ai partiti: nello spirito dell’articolo 49 della Costituzione, il PD si farà promotore di una proposta di legge sui partiti volta a introdurre meccanismi vincolanti di democrazia interna, a rafforzare la trasparenza e la responsabilità sui contributi economici, a garantire la necessaria autonomia della politica attraverso un meccanismo di finanziamento pubblico. Proporremo quindi che ogni partito si doti di una Fondazione che riceve e risponde dei contributi dello Stato e che sia al contempo luogo di formazione politica e di governo per le nuove classi dirigenti e strumento di sostegno e controllo sulle attività politico-organizzative.
  • O una nuova legge elettorale, o primarie per i candidati: il Partito Democratico si impegna a cambiare l’attuale legge elettorale per consentire agli elettori di scegliere i propri eletti. Qualora ciò non fosse possibile per indisponibilità della maggioranza di destra, allora ci impegniamo a vincolare le candidature elettorali del PD alla libera espressione dei territori attraverso primarie di partito, valorizzando il merito e la rappresentanza reale e contrastando il fenomeno dei “paracadutati”.
“Se qualcuno spadroneggia con la forza delle armi nel suo quartiere
o nella sua valle, e nessuno si muove per fermarlo,
in poco tempo scoppia una generale guerra per bande,
in cui tutti sono obbligati ad armarsi
e a cercare di farsi valere con la forza

Alexander Langer

La guerra di aggressione scatenata dal regime di Putin contro l’Ucraina è uno spartiacque storico per tutta la comunità internazionale e per l’Europa. È in gioco la capacità della comunità internazionale di difendere le ragioni del diritto, della pace e della libertà, contro l’arroganza della forza e contro il ritorno della logica della sovranità limitata e delle sfere di influenza, da cui l’Europa si era liberata con la fine della Guerra Fredda.
Il Partito Democratico ha scelto da subito di sostenere con l’aiuto umanitario, economico e militare l’Ucraina, una libera democrazia invasa da una superpotenza imperiale. E continuerà a incalzare il governo per difendere una popolazione altrimenti soccombente e il principio di non aggressione su cui si basa l’ordine internazionale.
Ma il nostro obiettivo è e deve restare la pace. Una pace giusta. Per questo sosterremo ogni iniziativa volta a favorire la fine del conflitto e ribadiamo che solo la diplomazia potrà costruire una pace duratura, anche attraverso un nuovo assetto di sicurezza dell’Europa che coinvolga una Russia finalmente capace di rispettare i principi di legalità e cooperazione internazionale.

Una nuova Europa politica per i nostri Anni Venti

L’Unione Europea ha dovuto affrontare una serie di gravi sconvolgimenti negli ultimi anni, a partire dall’esplosione della crisi climatica, passando per la pandemia e le sue conseguenze sociali ed economiche fino alla guerra nel cuore dell’Europa.

Sono stati anni in cui l’Europa ha dovuto ripensare sé stessa e trovare una nuova unità politica per reagire alle sfide che si è trovata di fronte, ma non è stata finora capace di darsi un nuovo assetto istituzionale e di condivisione di sovranità adeguato ai problemi, nonostante scelte lungimiranti come il Green Deal europeo, il Piano di Ripresa e la campagna vaccinale.

Per questo serve un’Europa più forte: le elezioni europee del 2024 saranno non solo il banco di prova decisivo per il PD sul piano politico, dopo la sconfitta del 2022, ma un momento cruciale in cui rilanciare il progetto di un’Europa sociale e federale nel solco del Manifesto di Ventotene, vicina ai cittadini, capace di decidere, proteggere, promuovere il benessere di tutte e tutti.

La rivoluzione apportata dal Next Generation EU è stata dirompente sia per la transizione ecologica che per la trasformazione digitale, ma ha rappresentato anche un fatto inedito in termini di mutualità del debito e di iniziativa comunitaria. Dobbiamo impegnarci non solo perché i nostri cittadini ne siano pienamente consapevoli, ma affinché una destra che l’ha osteggiata in tutti modi sia ora incalzata a portarla avanti con il PNRR in Italia. Solo un successo di questi progetti potrà dare la spinta necessaria a realizzare una compiuta unità politica dell’Europa.

La condivisione dei debiti e dei rischi in nome di una nuova solidarietà, il potenziamento massiccio delle risorse di bilancio dell’Unione, la nuova agenda sociale con il salario minimo, la tutela dei lavoratori delle piattaforme, la trasparenza e parità salariale, la Garanzia per l’Infanzia, il nuovo Erasmus Plus, la discussione sulla riforma del Patto di stabilità e crescita in favore di politiche di sostenibilità sociale e ambientale: sono tutte iniziative che testimoniano i passi avanti compiuti dall’Unione grazie al cartello delle forze progressiste, di cui i Socialisti e Democratici sono il perno, e con l’impegno fondamentale di un leader politico europeo quale è stato il nostro presidente del Parlamento europeo, David Sassoli.

Ma ancora non basta, perché le grandi sfide della giustizia sociale e climatica, nonchè il necessario ruolo sullo scacchiere mondiale, richiedono un ulteriore salto di qualità: per questo serve un mandato costituente per il nuovo Parlamento Europeo, proseguendo il lavoro della Conferenza sul Futuro dell’Europa.

Il PD rilancia il suo impegno per promuovere un più efficace processo decisionale attraverso il superamento della logica dell’unanimità e dei veti incrociati, con il rafforzamento dei meccanismi democratici e di trasparenza delle istituzioni comuni, anche implementando appieno le liste elettorali transnazionali. Noi vogliamo maggiori competenze comunitarie in ambito economico e sociale e per le “transizioni giuste”, con il consolidamento di una sovranità fiscale, con debito comune e risorse proprie, nel solco di Next Generation EU. E crediamo sia giunto il tempo di una vera politica estera e di difesa comune, in grado di dare una voce forte all’Europa nel mondo come attore di pace.

La stessa sfida energetica, estremamente attuale in questi mesi, ha richiesto e richiede un altro passo avanti nell’integrazione per assicurare approvvigionamenti, diversificazione, accelerazione delle rinnovabili e una diversa regolazione del mercato in materia. Ancora una volta, come europei, siamo chiamati a scegliere se operare ciascuno per proprio conto, scatenando una competizione dei bisogni e delle convenienze di parte in un gioco a somma negativa, o se lavorare insieme.

Noi pensiamo sia il tempo di avanzare per un’Europa pienamente federale. E crediamo che, laddove dovessero prevalere logiche ostruzionistiche, sia necessario partire da quei Paesi disponibili a costruire insieme. Noi vogliamo che l’Italia sia alla testa di questo cambiamento, non a rimorchio dei sovranisti.

Un partito europeo per una democrazia sovranazionale

Se il sogno è europeo, abbiamo bisogno di un grande partito che lo rappresenti, oltre i confini nazionali. Se molte delle scelte che riguardano la quotidianità, le opportunità e i bisogni di milioni di cittadini sono assunte dalle istituzioni europee, le formazioni politiche europee non possono restare rintanate nei confini di stati nazionali, sempre più deboli e impotenti.

Per questo occorre un salto di qualità anche per la casa dei socialisti e democratici europei, da costruire più forte e più unita insieme agli altri partiti progressisti, per progettare e costruire l’Europa dei prossimi decenni.

Il PSE deve evolvere in un vero partito transnazionale, rappresentativo di istanze europee unitarie nelle sedi istituzionali e nel contesto globale. Il PD deve contribuire a rendere concreta l’esperienza di adesione diretta dei nostri iscritti al Partito Socialista Europeo e alla famiglia dei Socialisti e Democratici attraverso la proposta di elezione diretta dei vertici di partito e per la selezione dei candidati per gli incarichi apicali, a partire dal candidato dei progressisti alla Presidenza della Commissione Europea, in attesa di una sua elezione diretta da parte dei cittadini.

All’impegno nel PSE si aggiunge la positiva esperienza della Alleanza Progressista, promossa ormai da una decina di anni dal PD e da altre forze socialiste e progressiste, che sta permettendo un dialogo e una iniziativa comune tra forze progressiste e democratiche dei cinque continenti e deve diventare sempre più attiva e visibile.

L’Italia protagonista e l’Europa al centro di un nuovo multilateralismo

L’unità politica mostrata dall’Unione europea nei passaggi chiave ricordati, seppur faticosamente raggiunta, dà ragione alla nostra idea di patriottismo europeista, che guarda all’Europa come spazio di pace e libertà contro i fantasmi dei nazionalismi e delle guerre che per secoli hanno segnato la storia del nostro continente. L’Europa si pone in questo modo come attore globale per la pace e la convivenza fra i popoli, nel rispetto del diritto internazionale e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. Ed è solo per questa strada che i Paesi dell’Unione possono svolgere un ruolo importante sullo scenario globale, integrando la dimensione di sicurezza euroatlantica nella NATO con un più forte ed efficace protagonismo dell’Unione europea come attore di stabilità globale e garante del multilateralismo, senza dimenticare l’impegno per la non-proliferazione e per il progressivo disarmo nucleare.

Il PD promuove un’idea dell’interesse nazionale italiano opposta a quella isolazionista e sovranista dalla destra: per questo ci batteremo sempre per rafforzare il ruolo dell’Italia nelle sedi multilaterali di cui è parte. Perché siamo un grande Paese europeo che nella storia repubblicana ha tratto sempre enormi benefici dalla capacità di costruire alleanze vaste e politiche condivise; mentre la destra sta rischia di danneggiare proprio l’interesse nazionale che invoca, isolandola.

L’Italia è al centro di molte aree e i nostri interessi non si difendono solo a Bruxelles. Per questo abbiamo bisogno di una politica estera e di sicurezza bene integrate tra loro e tali da metterci in grado di dialogare attivamente con tutti i paesi del Mediterraneo allargato e dei Balcani, sempre in coordinamento con i nostri alleati europei e atlantici. Non molti Paesi possono vantare il patrimonio di attenzione al dialogo del nostro. E un’Italia presente, attiva e ascoltata in alcune tra le aree più complesse e conflittuali del mondo rappresenta un elemento di stabilità e di pace. L’attenzione al fianco orienale necessaria a causa della guerra in Ucraina non deve andare a discapito di un rinnovato impegno di dialogo e sviluppo nel Mediterraneo allargato e con l’Africa.

La presenza dell’Italia nel mondo, soprattutto nei paesi più poveri e fragili, deve essere sempre più improntata ai valori dei diritti umani, della sostenibilità, della giustizia sociale. Tutto questo si può fare con gli strumenti adeguati, a partire dall’agenda per lo sviluppo sostenibile e dalla cooperazione internazionale. L’obiettivo di destinare lo 0,70% del Pil agli aiuti allo sviluppo deve essere perseguito con costanza, così come la consapevolezza dell’agenda per lo sviluppo sostenibile. Il PD si farà parte attiva delle campagne per sostenere e diffondere questi elementi qualificanti della nostra politica estera.

Il Partito Democratico si impegnerà ad ogni livello affinché la politica estera italiana sia sempre ispirata alla centralità dei diritti umani, promuovendo anche nelle relazioni internazionali i principi inviolabili della dignità e della vita della persona, rimuovendo le cause che possono pregiudicarne lo sviluppo e contrastando ogni discriminazione e violenza per motivi di appartenenze razziali e sociali, di schieramento politico e culturale, di religione, di genere e di orientamento sessuale. La cultura dei diritti umani è infatti universalistica e non può essere confusa con una specifica attribuzione geografica o politica, fondandosi sull’idea che vi sia un’unica e condivisa appartenenza al genere umano di ogni persona i cui diritti fondamentali sono da considerare inalienabili ad ogni latitudine e sotto qualsiasi regime politico. Per questo la cultura dei diritti umani rappresenta uno dei fondamenti di quella spinta unitaria all’internazionalizzazione di culture e politiche che sottende la nascita delle Nazioni Unite e che sempre più costituisce strumento di costruzione attiva di pace tra le nazioni e di difesa da contrapposizioni razziali, violenze e guerra.

Il Partito Democratico sosterrà il rafforzamento della democrazia sia come criterio fondamentale della politica estera italiana, sia come parte delle nostre attività politiche; attraverso strumenti di cooperazione con la società civile e in particolare con gruppi di donne e giovani come elementi essenziali di cambiamento; attraverso il monitoraggio elettorale; con la difesa dalle interferenze esterne attraverso un’adeguata politica di istruzione, informazione solida e cybersecurity; promuovendo la diplomazia del cambiamento attraverso un potenziamento degli strumenti di soft power come quello culturale, e allo stesso tempo attraverso aiuti, investimenti, costruzione delle istituzioni e di classi dirigenti delle società in transizione.

L’Italia globale, la forza delle nostre comunità

Da sempre il nostro partito dedica un’attenzione particolare agli italiani nel mondo. E riteniamo questa connessione tanto essenziale per loro quanto per i cittadini che vivono in patria. Per questa ragione siamo impegnati nella risoluzione dei problemi che emergono, a partire dalla risoluzione dell’annosa questione dei servizi consolari. Allo stesso tempo siamo impegnati per la semplificazione e la sburocratizzazione delle procedure per il riconoscimento della cittadinanza. L’Aire va ripensato, adeguandolo alle nuove mobilità che sono sempre meno stanziali rispetto al passato; e serve sperimentare, soprattutto nelle circoscrizioni consolari coi territori più vasti, forme originali di servizi di prossimità a favore dei cittadini italiani.

Se vogliamo dare cittadinanza piena a queste comunità, non possiamo non costruire una fiscalità che sia equiparata e giusta. In questo caso, abbiamo già predisposto insieme all’Anci una conferenza di servizi con tutti i comuni d’Italia per individuare un metodo di calcolo univoco, da Nord a Sud.

Dobbiamo lavorare per costruire un Paese che garantisca eque opportunità di genere e generazionali: non per limitare la mobilità, che è un valore arricchente, bensì per evitare che si trasformi, come accade oggi, in emorragia di talenti senza ritorno. Contemporaneamente dobbiamo allora lavorare in modo strutturale per costruire una mobilità “con ritorno”, che porti valore aggiunto e nuove competenze, spingendo per premiare le start-up, le idee, i progetti imprenditoriali che abbiano al loro centro gli obiettivi di sviluppo sostenibile del Global Compact (SDG’s). Dobbiamo investire sul Turismo delle Radici quale volano per far riscoprire i luoghi del margine ed attrarre investitori e nuovi cittadini in grado di riabitarli.

Con una mobilità lavorativa, in parte frutto di scelta, per lo più obbligata, della comunità italiana nel mondo e in Europa, è urgente il riconoscimento automatico, garantito e diretto, all’interno dello spazio europeo, dei titoli professionali e formativi conseguiti in Italia. Un riconoscimento che, oltre a semplificare l’integrazione lavorativa e professionale di chi lascia l’Italia, offre una preziosa opportunità di crescita che tiene conto delle esperienze pregresse maturate nel Paese d’origine. Per la mobilità di ritorno, a chi rientra in Italia dopo anni di lavoro e studio all’estero, va riconosciuta e garantita la medesima premialità, sia professionale che fiscale.

Anche gli italiani e le italiane nel mondo hanno sperimentato, soprattutto negli ultimi anni segnati dalla pandemia, un modo altro di vivere nel Paese di migrazione il rapporto con il proprio lavoro e/o studio. Molte e molti hanno scelto, avendone la possibilità, di rientrare in Italia continuando a svolgere la propria attività in modalità nuove, da remoto e con la flessibilità dello smart working. C’è bisogno anche per loro, dunque, di aggiornare il modello, inserendo tutele adeguate e una regolamentazione che rispetti garanzie e diritti lavorativi comunitari.

Le nuove caratteristiche della mobilità, infine, richiedono necessariamente una profonda revisione della rappresentanza delle comunità italiane e italo-discendenti all’estero. La rappresentanza deve adeguarsi alle novità con una profonda riforma, così da intercettare le nuove esigenze della migrazione, elaborando efficaci e pronte risposte. I Comites, quale primo e fondamentale livello di questa rappresentanza, devono essere equiparati ai consigli comunali italiani nel ruolo, nelle risorse e negli strumenti d’intervento.

“Continuando a permettere che le emissioni aumentino di anno
in anno, il cambiamento climatico trasformerà tutto il nostro mondo:
è molto probabile che diverse grandi città finiscano sommerse,
che antiche culture vengano ingoiate dai mari e che i nostri figli
debbano passare gran parte delle loro vite a fuggire e a riprendersi
da violente tempeste e siccità estreme. E non occorre fare nulla
di particolare affinché si concretizzi un futuro simile: ci basta
proseguire sulla strada che stiamo percorrendo ora, che sia quella di
riporre le nostre speranze in un qualche prodigio tecnologico,
di preoccuparci solo del nostro orticello, o di dirci che siamo troppo
impegnati per pensare a queste cose. Non servono sforzi aggiuntivi

Naomi Klein

L’Italia vive con crescente frequenza eventi climatici estremi, che la colpiscono in modo particolarmente allarmante. Tra i paesi europei, il nostro è quello maggiormente esposto ai drammatici eventi di carattere idrogeologico. Essi sono acuiti dai profondi mutamenti climatici subiti dal pianeta: alluvioni, siccità, ondate di calore, innalzamento del livello del mare, aumento del cuneo salino. Tutto ciò determina lutti e insostenibili danni a persone, animali, beni; talvolta ad interi ecosistemi.

La tragedia della Marmolada non è un evento isolato: in un articolo appena pubblicato su Nature Climate Change, emerge come la neve sulle nostre Alpi stia diminuendo fino a diventare un fenomeno sempre di fragile e di breve durata: nell’ultimo secolo la durata del manto nevoso si è accorciata di oltre un mese.

Il cambiamento climatico non si riferisce solamente al riscaldamento globale: stanno avvenendo cambiamenti diffusi nell’atmosfera, nelle terre emerse, negli oceani e nei ghiacci. Il mutamento osservato negli ultimi 100 anni è il risultato delle attività umane e i cambiamenti climatici causati dall’uomo aumentano la probabilità di assistere ad un maggior numero di eventi estremi contemporaneamente che possono avere un impatto sulla natura e sull’uomo ancora maggiore di quello che questi fenomeni causerebbero singolarmente: ad esempio, la siccità unita a caldo estremo aumenta il rischio di incendi boschivi e la conseguente morte del bestiame, oltre che la perdita dei raccolti.

Il tema ambientale deve diventare uno dei capisaldi dell’identità del Partito Democratico, e il nostro compito è quello di guardare non solo al destino delle prossime elezioni, ma a quello delle prossime generazioni. Farci portatori della voce di milioni di ragazze e ragazzi che in Italia e in tutto il mondo chiedono alla politica e alle istituzioni una risposta all’altezza della sfida incombente. Anzi, nostro compito è portare queste ragazze e questi ragazzi all’interno della politica e delle istituzioni affinché la loro voce diventi il cambiamento che serve. A questo serve il PD.

Qualunque sia l’obiettivo economico, sociale, politico, che una comunità decida oggi di prefissarsi, non lo si può conseguire se non alla luce della consapevolezza di ciò che sta accadendo al nostro ambiente. Perché i cambiamenti climatici rischiando di mettere a repentaglio la tenuta sociale del Paese, dell’Europa, del Mondo.

La questione ambientale è una questione sociale, perché ha ripercussioni soprattutto sui più fragili: anziani, bambini, persone che vivono ai margini. L’estate scorsa la mortalità in conseguenza delle temperature oltre media è cresciuta di oltre il 20% e a farne le spese sono sempre le persone più anziane o quelle che non possono permettersi un condizionatore per rinfrescare l’ambiente domestico.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha evidenziato l’incidenza del cambiamento climatico sugli elementi sociali ed ambientali che hanno effetti diretti sulla salute. Aria pulita, acqua potabile, cibo in quantità sufficienti, sicurezza e condizioni igieniche degli alloggi: tutti diritti fondamentali messi in pericolo da inondazioni, ondate di calore, incendi, siccità. Per fare un esempio, le previsioni indicano un aumento di 250.000 morti all’anno nel mondo fra il 2030 e il 2050 a causa della scarsità di acqua dovuta al cambiamento climatico.

Secondo i dati del CNR e del Dipartimento per la protezione civile, nel nostro Paese il dissesto idrogeologico causa danni quattro volte superiori al costo degli interventi di prevenzione, evidentemente del tutto insufficienti. La spesa a tutela dell’ambiente a livello mondiale rappresenta inoltre solo il 5% della spesa militare (Fonti: Oxfam, SIPRI). E la crisi sanitaria e l’emergenza bellica che stiamo attraversando mostrano una volta di più il ruolo cruciale dell’energia nella nostra società industriale e tecnologica. Questa crisi energetica ha colpito in maniera più evidente i Paesi che sono fortemente dipendenti dall’esterno per gli approvvigionamenti. L’Italia è fra questi, avendo fatto registrare una dipendenza dall’estero attorno al 74 % (dati Eurostat 2021) dei propri fabbisogni.

Ma dalla risoluzione delle criticità legate al clima e al pianeta possiamo trarre e indicare opportunità preziose per generare sviluppo, benessere collettivo, lavoro di qualità.

Ecco alcune delle nostre proposte:

  • Dotare anche l’Italia di una legge nazionale per la protezione del clima
  • Attuare un grande piano nazionale di riforestazione. Piantare alberi è una prima e immediata risposta, estremamente utile: gli alberi assorbono CO2, producono ossigeno, riducono le temperature generando ombra e rendendo vivibili spazi in città. Piantare alberi in città e in pianura è un atto semplice e rivoluzionario, capace di trasformare la vita delle persone senza costi impossibili. Diamo all’Italia l’obiettivo di piantare nei prossimi 10 anni 60 milioni di alberi in più, uno per ogni cittadino.
  • Accelerare la via verso le rinnovabili. Un Piano nazionale di investimenti sulle energie rinnovabili non è più rimandabile, perché si lega a tre profili cardine che toccano anche la tenuta economico-sociale del Paese nei prossimi anni:
    – autonomia e indipendenza strategica dell’Italia e dell’Europa da fonti energetiche di altri Paesi
    – riduzione dei costi fissi per le imprese che permetta di contenere emissioni e costi, generando una sostenibile ed evitando licenziamenti
    – riduzione delle bollette per privati e famiglie migliorando la qualità dell’aria
    Per queste ragioni occorre semplificare immediatamente le procedure di installazione di impianti fotovoltaici, a partire dai tetti degli edifici pubblici e privati, e di realizzazione di parchi eolici, determinanti per produrre energia pulita. Occorre sostenere e moltiplicare le comunità energetiche per associare cittadini e imprese, pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore in uno sforzo corale, dal basso, che acceleri sulle rinnovabili rendendo più coese e sostenibili le nostre comunità. L’Italia deve fare la sua parte nel campo delle tecnologie rinnovabili anche sul piano della ricerca e dello sviluppo industriale: con la creazione di nuovi materiali e nuove tecnologie per i pannelli fotovoltaici e l’innovazione costruttiva per gli impianti; con lo sviluppo del fotovoltaico e dell’eolico flottante, della geotermia ad alta e bassa entalpia, dell’idrogeno verde e dei biocombustibili, a partire dal biometano; con un importante lavoro sugli accumuli a batteria. Occorre dare un contributo di innovazione e una prospettiva di politica industriale a questi investimenti, a partire dal Mezzogiorno. Evitiamo insomma, come è accaduto in passato, di svolgere la funzione di meri installatori di tecnologie altrui.
    Infine: il nostro no al nucleare non è non sarà mai ideologico. deriva anzi dall’oggettivo rapporto costi/benefici che l’attuale tecnologia presenta in termini di costi, rischi e tempi per il nostro Paese. Su questo gli italiani si sono già pronunciati in modo inequivocabile. Per la stessa ragione riteniamo invece che anche in Italia vada sostenuta la ricerca, in particolare sulla fusione, per esplorare tutte le possibilità di produrre energia senza scorie radioattive e senza produzione di CO2.
  • Introdurre sistemi premiali per le imprese che riducono emissioni anche attraverso la creazione di un mercato di crediti per servizi ecosostenibili.
  • Passare dal consumo alla rigenerazione del suolo. Promuovere una legge quadro nazionale che sancisca in tutta italia il principio di consumo di suolo a saldo zero e che promuova la rigenerazione urbana come volano trasformativo delle costruzioni, anche attraverso sistemi premiali per l’utilizzo di materiali sostenibili, incentivi per le imprese che investono in rigenerazione e bonifica di aree inquinate e riduzione drastica dei tempi per rilascio di permessi edilizi in ambiti di rigenerazione. La tutela dell’ambiente e la salvaguardia del paesaggio devono camminare insieme per la protezione del futuro del nostro territorio e del pianeta. Perché senza tutela dell’ambiente non può esserci tutela del paesaggio.
  • Realizzare un grande Piano nazionale di resistenza e resilienza. Il nostro territorio ha bisogno di cura e protezione, non di abusivismo e condoni. Serve una mappatura capillare delle potenziali criticità legate al dissesto idrogeologico, prevedendo protocolli puntuali su come prevenire situazioni di rischio e cosa fare quando il rischio si materializza3. E serve un piano nazionale di cura e prevenzione: le risorse che oggi spendiamo per riparare i danni vanno prioritariamente impiegate per la prevenzione del dissesto e per accrescere la resistenza e la resilienza verso i cambiamenti climatici e i suoi effetti.
  • Incentivare la transizione verso l’economia circolare. È tempo che il nostro Paese abbandoni la via del conferimento in discarica dei rifiuti massimizzando la raccolta differenziata per i cittadini e la creazione di nuove filiere d’impresa in chiave di sostenibilità. Occorre sostenere e accelerare la transizione dall’economia lineare verso un modello di economia circolare basato su un uso efficiente delle risorse naturali, il riuso e il recupero di materia ed energia, il prolungamento della durata, l’uso condiviso e la riparazione dei prodotti, incrementando il riciclo e migliorando l’impiego e l’innovazione dei materiali riciclati e delle tecnologie di produzione.
  • Prevenire e contrastare la siccità attraverso un grande piano delle acque, con la cura e l’efficienza dei sistemi e degli impianti, e la realizzazione di invasi piccoli e diffusi, per mettere in sicurezza il consumo domestico e quello produttivo, accompagnando la trasformazione delle culture e delle produzioni verso la piena sostenibilità.
  • Superare le infrazioni aperte in materia di scarichi e qualità dell’aria. Occorre un piano integrale di investimento che superi definitivamente le infrazioni e le condanne comunitarie sia in materia di scarichi delle acque, sia di qualità dell’aria: depurazione, sistemi di riscaldamento, zootecnia e mobilità debbono essere parte organica di un progetto organico di qualità per la salute delle persone, la tutela dell’ambiente e del territorio: le risorse di Stato, Regioni ed Enti locali (a partire da quelle del PNRR e degli Fsc) debbono essere concentrate su queste priorità.
  • Potenziare le infrastrutture della mobilità sostenibile. Per essere più connesso e sostenibile, il nostro Paese necessita di grandi investimenti, a partire dal Mezzogiorno e dalle aree interne e montane, recuperando ritardi cronici che ne frenano lo sviluppo. Al tempo stesso, la qualità dell’ambiente e della vita nelle nostre città debbono crescere insieme: investire sul Tpl e sulla mobilità sostenibile, elettrica e ad idrogeno, è parte dell’obiettivo sia della completa decarbonizzazione (emissioni zero), sia di una moderna trasformazione urbana per accrescere la vivibilità e l’accessibilità dei luoghi.
“Io credo nel popolo italiano.
È un popolo generoso, laborioso, non chiede che lavoro,
una casa e di poter curare la salute dei suoi cari.
Non chiede quindi il paradiso in terra.
Chiede quello che dovrebbe avere ogni popolo

Sandro Pertini

Da che mondo è mondo, il lavoro o è emancipazione o è sfruttamento. E da che mondo è mondo, le donne e gli uomini di centrosinistra si battono per la prima cosa e contro la seconda. La domanda da cui partire, oggi come ieri, è la stessa: che cosa possiamo fare perché il lavoro sia emancipazione e non sfruttamento?
Noi proponiamo un nuovo contratto sociale: per favorire uno sviluppo sostenuto e sostenibile, sia sul piano ambientale sia sul piano sociale, e per rivoluzionare il lavoro e i tempi di vita, allargando le tutele e le opportunità di tutte e di tutti. Serve una politica per la crescita e serve una politica per il lavoro che abbiano al centro la qualità; servono salari più alti e un fisco più giusto, diritti universali per tutte le lavoratrici e i lavoratori, dipendenti o autonomi che siano, e serve un riconoscimento del lavoro di cura; serve uno stato sociale che protegga e rafforzi le persone e le comunità, disegnato sui bisogni di oggi, sull’esigenza di non lasciare nessuno da solo di fronte ai cambiamenti imposti dalle transizioni ecologica, tecnologica e demografica. Per farlo, con e per le persone, occorrerà tutta l’energia popolare di cui saremo capaci.

Politiche industriali per una nuova globalizzazione

La crescita economica non è una condizione sufficiente per creare una piena e buona occupazione, né per avere uno sviluppo sostenibile sul piano sociale e ambientale. Ma resta una condizione necessaria. Dobbiamo uscire dalla contrapposizione ideologica tra chi pensa che bastino gli investimenti privati e chi gli investimenti pubblici per creare dignità del lavoro e prosperità diffusa. Non è così. Serve un’idea di qualità del lavoro. E servono politiche industriali, della ricerca, della formazione e del welfare coerenti. Anche il progresso tecnologico non è neutrale: ce n’è un tipo che riduce il lavoro e uno che lo valorizza. L’intervento pubblico deve favorire il secondo.
Questa sfida va raccolta soprattutto a livello dell’Unione Europea, che deve rispondere alla sfida anche geopolitica posta dalla nuova stagione di politiche industriali e tecnologiche di Stati Uniti e Cina. Ma l’Italia può e deve fare di più per salvaguardare il proprio ruolo di secondo Paese manifatturiero d’Europa. In una fase di “globalizzazione corta” come quella che si sta aprendo, i nostri distretti industriali e le nostre filiere possono tornare a essere un volano di sviluppo e un vantaggio competitivo per il nostro Paese. Occorre parlare alle imprese in maniera credibile, scalzando il messaggio della destra che propone un “liberi tutti” a botte di evasione, deroghe e lavoro precario. Come? Ricominciando a investire su infrastrutture distrettuali quali, ad esempio, le comunità energetiche, la formazione, la gestione dell’acqua e dell’economia circolare. Investendo su questi beni pubblici distrettuali torneremo a dare risposte al nostro sistema d’imprese e a creare ricchezza sui nostri territori. Non per guardare indietro, a un modello di sviluppo ormai superato, ma al contrario per sintonizzarsi prima di altri sulla nuova globalizzazione che si sta prefigurando. Occorre quindi che le risorse del PNRR e quelle del nuovo settennato dei fondi di coesione siano coerentemente ed efficacemente impiegate in questa direzione – anzitutto per sostenere la trasformazione digitale e la transizione ecologica – sia sul fronte degli investimenti pubblici e privati, sia su quello dell’adeguamento delle competenze. Industria 4.0, formazione, incentivi al reshoring e infrastrutture produttive per i nostri distretti: sono queste le leve da attivare per una politica di sviluppo dove territorio, impresa e lavoro si tengono per mano.

L’innovazione tecnologica, nella doppia accezione di sviluppo e di adozione, rappresenta infatti uno dei fattori competitivi indispensabili per la crescita sostenibile d’impresa che, in combinazione con altri elementi quali l’adozione di modelli organizzativi più flessibili, nonché lo sviluppo di competenze specialistiche e manageriali, può stimolare la crescita della produttività sia a livello di impresa, sia per il Paese nel suo complesso. Industria 4.0 ha aiutato in questo processo verso il cambiamento dei processi produttivi e l’utilizzo di nuove tecnologie, ma la si può ulteriormente rafforzare, potenziando gli investimenti per la ricerca, la digitalizzazione e l’automazione, favorendo processi di consolidamento degli operatori attivi lungo la filiera delle tecnologie digitali avanzate, puntando sul trasferimento tecnologico che ha il ruolo cruciale di trasmettere al mercato e alla società i risultati derivanti dalla ricerca scientifica e tecnologica, insieme alle competenze associate. Gli investimenti privati dovranno beneficiare della realizzazione delle riforme enunciate nel PNRR e degli investimenti in esso previsti, ma occorre sorvegliare su questo perché la destra non ha una strategia in proposito. E occorre andare anche oltre. Perché i principali disincentivi all’investimento privato in Italia restano la complessità e i livelli di tassazione, l’eccesso di burocrazia e la lentezza della giustizia. Rispetto alla burocrazia, occorre agire su due piani. Il primo riguarda la semplificazione normativa: esistono circa 600 iter burocratici che devono essere semplificati. Ma la riduzione della burocrazia non può essere guidata dai burocrati. Occorre costituire una commissione ristretta che includa soprattutto rappresentanti delle imprese e delle professioni per formulare soluzioni sostanziali. Il secondo riguarda il funzionamento della pubblica amministrazione: per le nuove competenze necessarie occorre investire nella formazione del personale e reclutare giovani, così come occorre rafforzare una gestione manageriale diffusa in tutti gli ambiti, con una migliore definizione di obiettivi, una buona misurazione dei risultati ottenuti e una valutazione dei dirigenti pubblici che non sia uniforme.

La questione salariale

In Italia esiste da decenni una cruciale questione salariale: la distribuzione del reddito si è inceppata e, in termini reali, chi lavora guadagna oggi meno di dieci, venti e trent’anni fa. È banale dire che i salari non salgono se non c’è crescita economica e della produttività, ma in Italia questa ovvietà è spesso usata come alibi per competere solo sul costo del lavoro; sia nel pubblico sia nel privato, è risultato più comodo ridurre i salari che aumentare gli investimenti. Ora che con le risorse del PNRR è possibile rilanciare investimenti pubblici e privati, ogni alibi deve essere rimosso e l’aumento dei salari deve diventare un obiettivo di politica economica. A maggior ragione oggi, di fronte al rialzo del costo della vita: perché l’inflazione è una tassa ingiusta su lavoratori e pensionati, soprattutto quelli con redditi bassi. La questione salariale è per noi la priorità ed è da qui che vogliamo partire.
Per rimettere al centro e aggredire questo tema non esiste un’unica soluzione. Non possiamo pensare di risolvere tutto con la sola leva fiscale: le tasse servono, ma non sono tutto. Se il lavoro è debole, non c’è riduzione delle tasse che possa avvantaggiarlo. Serve invece un patto, uno scambio tra politica e parti sociali dove a mettere sul piatto qualcosa siano tutti: la politica, con riforme del fisco, del welfare e della formazione); i sindacati e le associazioni di categoria, con regole su rappresentanza e contrattazione, anche decentrata; le imprese, con adeguati aumenti salariali, concentrati soprattutto sui redditi bassi o laddove gli utili crescono. La questione salariale ha bisogno di interventi lungo tre direttrici.

  • Rendere i contratti più forti. Dobbiamo rafforzare il ruolo della contrattazione collettiva, con regole sulla rappresentanza che sconfiggano i contratti pirata. Per poi estendere erga omnes, cioè a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, il trattamento economico dei contratti più rappresentativi. Anche la leva fiscale può favorire la buona contrattazione, detassando gli aumenti anche in maniera selettiva, cioè sui salari bassi o laddove gli utili delle imprese crescono. L’esatto opposto della flat tax della destra, che premia i forti a danno dei deboli. Nell’immediato, la priorità è detassare gli aumenti per i lavoratori con contratti triennali siglati nella prima metà del 2021, quando ci si aspettava un’inflazione molto più bassa dell’attuale. In quest’ottica, nel contrasto al lavoro povero, proponiamo anche un salario minimo legale (da introdurre anzitutto nei settori più fragili, scelti dal governo con l’aiuto di esperti e parti sociali, in modo da integrarlo con la buona contrattazione). Porteremo avanti questa battaglia in parlamento e nel Paese con una proposta di legge d’iniziativa popolare.
  • Rendere le lavoratrici e i lavoratori più forti. Chi lavora deve essere più forte anche sul mercato, con una dotazione di competenze che ne rafforzino la produttività e quindi la posizione contrattuale. Dobbiamo costruire un nuovo pilastro di stato sociale rispetto ai rischi legati alle trasformazioni che imprese, lavoratori e lavoratrici affronteranno sull’onda della transizione ecologica e di quella digitale (si veda la nostra proposta di reddito di formazione). Serve un sistema di formazione permanente di massa, per rendere quello alla formazione un diritto soggettivo realmente esigibile.
  • Rendere il fattore lavoro più forte. La crescita non è una condizione sufficiente perché i salari crescano, ma è una condizione necessaria. Servono politiche industriali, fiscali e della formazione che facciano ricadere gli investimenti – a partire da quelli finanziati dal PNRR – sul tessuto produttivo del nostro Paese. Anche in questo caso la leva fiscale può aiutare: con una riforma che tassi (molto) di meno il lavoro, soprattutto se a tempo indeterminato, e di più rendita e ricchezza. Ma anche questo non basta. C’è il nodo della precarietà dilagante tra i giovani da aggredire, sostituendo tirocini malpagati con un sano e robusto apprendistato quale canale d’accesso privilegiato. E c’è la lotta allo sfruttamento. Il nostro Paese non può più tollerare di avere filiere basate su uno sfruttamento lavorativo che in alcune realtà diventa schiavitù, dove spesso criminalità organizzata e lavoro nero vanno a braccetto. Accanto alla legge sul caporalato occorre allora introdurre un programma di protezione e assistenza per le vittime di questa piaga (sostegni economici, formazione, alloggio, reinserimento lavorativo, ecc.), per accompagnare alla legalità chi oggi è sfruttato per disperazione e assenza di alternative.

Reddito di formazione

Disoccupati, giovani in cerca di prima occupazione, lavoratori e lavoratrici a rischio di perdere il proprio posto di fronte ai tumultuosi cambiamenti economici del tempo in cui viviamo: sono loro i veri dimenticati dalle politiche di welfare del nostro Paese. Il reddito di inclusione prima e il reddito di cittadinanza poi hanno colmato una lacuna storica: l’assenza di una misura universale di contrasto alla povertà. Ma non tutti i disoccupati sono poveri e se perdi un lavoro lo Stato non deve aspettare che tu perda anche la casa per aiutarti (visto che le misure contro la povertà sono giustamente sottoposte alla prova dei mezzi). Serve allora una forte garanzia del reddito agganciata a servizi personalizzati di orientamento, formazione e accompagnamento al lavoro; una rivoluzione del nostro sistema di sussidi di disoccupazione che inglobi quelli esistenti (Naspi, Dis-coll, Iscro), li allarghi e ne rovesci la logica: non più sussidi legati a condizionalità (che nessuno controlla), ma un percorso intensivo di servizi alla persona legato a una forte garanzia del reddito a fronte del rischio disoccupazione.
Il reddito di formazione è fatto di due ingredienti: un percorso personalizzato di orientamento, formazione e accompagnamento al lavoro e una forte garanzia del reddito per chi accetta di mettersi in gioco seguendo quel percorso (fino a 1.500 euro al mese, più un sostegno alla mobilità nel caso che sia richiesto di spostarsi, per una durata legata agli anni di contribuzione o all’età). Così si rovescia la logica attuale delle politiche di sostegno a chi cerca lavoro: non più sussidi con condizionalità, ma un percorso fatto di bilancio e certificazione delle competenze, orientamento, formazione e sostegno alla mobilità. Sul fronte del sostegno economico, il reddito di formazione non prevede la forte riduzione mensile della Naspi, fornisce una copertura più lunga agli over 50 ed è più facile da ricevere per i giovani in cerca di prima occupazione, strutturandosi come un vero e proprio reddito di inserimento.
Soprattutto, il reddito di formazione fa leva sulla costruzione di un nuovo pilastro dello stato sociale, che assicuri dai rischi legati alle trasformazioni che imprese, lavoratori e lavoratrici affronteranno sull’onda della transizione digitale e della rivoluzione verde: un sistema di formazione permanente di massa; un sistema diffuso e di qualità per rendere quella alla formazione un diritto soggettivo realmente esigibile; un’infrastruttura di luoghi – ben finanziati e soprattutto valutati e monitorati nei risultati che producono – in cui gli individui ricevano servizi personalizzati di orientamento, formazione e accompagnamento al lavoro. Con una presa in carico pubblica e digitale, ma con servizi erogati ispirandosi ai principi di sussidiarietà orizzontale e verticale, facendo leva su comuni, università, istituti scolastici, centri di formazione, terzo settore. La grande sfida dello stato sociale di oggi è la formazione permanente di massa, nello stesso modo in cui lo sono l’istruzione obbligatoria, la sanità pubblica e tutte quelle riforme che hanno profondamente cambiato il nostro contratto sociale.

Per la sicurezza sul lavoro

Un Paese dove ogni otto ore si muore sul luogo di lavoro o recandosi al lavoro non è un Paese civile. La sicurezza del lavoro è un bene pubblico. E servono risorse e apparati pubblici per tutelarlo. Anche le imprese serie hanno bisogno dell’aiuto e della collaborazione di professionisti pubblici della sicurezza. Senza questa collaborazione c’è solo il Far West dei diritti, che piace alla destra e alle imprese irresponsabili, il cui costo ricade anzitutto sulle condizioni di lavoro e sulla vita dei lavoratori più deboli e precari; ma a pagarne un prezzo in termini di concorrenza sleale è anche la maggioranza delle imprese che investono sulla sicurezza; infine ci rimette la collettività nel suo insieme: in termini di costo, di competizione al ribasso sulla pelle delle persone, di conflittualità e sociale.
Occorre assicurarsi allora che la destra prosegua nel lavoro che noi abbiamo avviato nella precedente legislatura: assunzioni per aumentare il numero degli ispettori, pagarli di più, migliorare le dotazioni di cui hanno bisogno per operare, assumere nuove competenze che permettano di fare ispezioni con l’aiuto della tecnologia. E dobbiamo fermare il tentativo della destra di tornare indietro rispetto al disegno di un’unica agenzia ispettiva. Ma le ispezioni, per quanto importanti, da sole, non bastano. Servono investimenti sulla formazione e sulla prevenzione, in collaborazione con imprese e sindacati; forti incentivi fiscali per l’adozione di tecnologie che aumentino la sicurezza sul lavoro; meccanismi premiali negli appalti pubblici. Ogni euro investito sulla sicurezza del lavoro è un investimento sulla dignità delle persone e un risparmio oggettivo sui costi che l’insicurezza comporta.

Genitori alla pari in famiglia e al lavoro

Non può esserci crescita economica o equità nel mondo del lavoro e nella società se non rimettiamo al centro il lavoro delle donne. E per le donne, in Italia, il lavoro resta un problema. Lo è in termini di quantità, con un tasso di occupazione femminile che non arriva al 50%: quasi 15 in punti in meno della media europea, 20 punti in meno di quella maschile. E lo è in termini di qualità: in termini di reddito (gender gap), di quantità di ore lavorate (il cosiddetto part time involontario), di carriera. Dietro a questi divari risiedono fattori culturali che incidono per esempio sull’orientamento scolastico (sono ancora una stretta minoranza le ragazze che scelgono le materie STEM), così come i congedi e l’organizzazione del lavoro, o la carenza di servizi per il sostegno alla genitorialità e alla cura.
In particolare, è l’iniqua distribuzione del tempo tra lavoro retribuito e non retribuito (cioè speso in attività di cura familiare) a marcare una differenza netta tra uomini e donne. Il divario salariale e occupazionale è in gran parte dovuto alla scelta di avere figli, e questo in un Paese dove proprio la denatalità rappresenta l’ombra più pesante sul futuro e la sostenibilità sociale. Per questo serve una rivoluzione nei tempi di vita e di lavoro, uno strumento per la condivisione della genitorialità tra padri e madri, leva essenziale per l’emancipazione femminile e per il sostegno alla natalità. Dopo l’assegno unico e universale fortemente voluto dal PD nella scorsa legislatura, il passaggio da politiche di conciliazione a politiche di condivisione, oltre a favorire la libertà delle donne di lavorare e quella degli uomini di vivere la paternità, può segnare un altro passo nel contrasto all’inverno demografico.
Per questi motivi, il PD sosterrà in parlamento e nel Paese, anche con un disegno di legge d’iniziativa popolare, la proposta di “genitori alla pari” presentata al Senato nella scorsa legislatura e tra le proposte più votate nelle nostre Agorà democratiche. Si tratta di una riforma (o meglio, di una rivoluzione) “di sistema” che include:

  • L’istituzione di congedi partitari, obbligatori e facoltativi, prevedendo che siano ben retribuiti e perfettamente egualitari per entrambi i genitori
  • L’introduzione del part time di coppia, incentivato solo se preso da entrambi i genitori
  • Anticipi retributivi, sgravi contributivi e altri aiuti mirati per le imprese, per aiutarle ad assorbire questa trasformazione nell’organizzazione del lavoro
  • Risorse ai comuni per potenziare i servizi educativi e renderli universali, così come quelli integrati di sostegno alla genitorialità (orari, scuole aperte, ecc.)

È il momento di aggredire e superare uno squilibrio che pesa sempre sulle donne. È il momento di avere genitori alla pari in famiglia e al lavoro.

Dipende più autonomo uguale lavoro

Nel solco della legge 81/2017 fortemente voluta dal PD (il cosiddetto Jobs act del lavoro autonomo), riprenderemo il percorso per abbattere il muro che separa lavoro dipendente e lavoro autonomo, allargando tutele e opportunità a tutto il mondo del lavoro. Il nostro obiettivo è il rafforzamento di un nucleo di diritti fondamentali comuni a lavoro dipendente e autonomo. Nell’immediato, vogliamo dare riposte al vasto mondo di professionisti e partite Iva con una serie di tutele, partendo da una riforma fiscale che favorisca l’equità orizzontale, anche attraverso l’equiparazione delle detrazioni per lavoro dipendente e autonomo. Ma non solo. Proponiamo subito altre misure concrete per rafforzare l’equo compenso, l’equità previdenziale, la formazione 4.0 e il sostegno sugli investimenti in beni strumentali nell’ambito del programma Transizione 4.0, il sostegno ai processi di aggregazione in società tra professionisti.
Ferma restando la necessità di riconoscere, sostenere e valorizzare il lavoro autonomo, è essenziale favorire la stabilizzazione dell’occupazione e regolare qualsiasi rapporto di lavoro a fronte delle nuove dinamiche di subordinazione imposte da progresso tecnologico e algoritmi. Il lavoro stabile vale di più e deve costare meno di quello precario. Proponiamo un taglio strutturale del cuneo contributivo almeno del 10% per tutti e del 30% per i giovani in ingresso nel mercato del lavoro. Vogliamo superare i tirocini extracurricolari per riformare e sostenere l’apprendistato come canale privilegiato di ingresso nel lavoro dipendente. Vogliamo rafforzare la stretta su finte partite Iva e collaborazioni iniziata dai nostri governi. È giusto che il lavoro temporaneo sia strettamente regolato – in primis dalla contrattazione collettiva – e costi di più di quello stabile. In particolare, proponiamo di introdurre una buonuscita compensatoria (come avviene in altri paesi europei) che l’impresa dovrà riconoscere a un lavoratore che non viene stabilizzato, in maniera proporzionale alla durata cumulata dei contratti temporanei che ha avuto. Le esigenze di flessibilità organizzativa o produttiva non debbono mai essere confuse col reiterato impiego della stessa persona per eludere i percorsi di stabilizzazione.
La flessibilità che serve per un sistema di qualità è quella dentro l’impresa, da sostenere attraverso la formazione e la contrattazione, non quella che si scarica sulle persone in termini di precarietà.

Giustizia previdenziale e welfare della cura

Un nuovo contratto sociale non può prescindere da un welfare che sia equo tra e dentro generazioni diverse. Occorre risolvere, una volta per tutte, il tema della riforma pensionistica: perché l’accesso ad un’adeguata pensione al termine della vita lavorativa è fondamentale per il rafforzamento del lavoro e della società. E perché le persone non possono vivere nell’incertezza del proprio destino di anno in anno. Di solito la politica parla di pensioni cercando risorse (da tagliare) o cercando voti (da blandire con promesse demagogiche). Noi vogliamo altro: equità e giustizia sociale. Nonostante gli interventi che si sono succeduti negli ultimi decenni, il nostro sistema previdenziale non è equo tra generazioni (visto che i costi della sua sostenibilità sono stati scaricati solo sui più giovani) e non è equo all’interno delle generazioni (visto che i più fragili non hanno tutele di fronte a un’età pensionabile che aumenta anche se non hai un lavoro o quel lavoro diventa gravoso). Per questo proponiamo di dare piena attuazione alla cosiddetta “fase due” dell’accordo del 2016 tra governo e Cgil-Cisl-Uil. Quell’accordo partiva dal riconoscimento che non tutti i lavori sono uguali. E che la giustizia sociale richiede misure differenziate.
Dopo mirabolanti promesse demagogiche quando era all’opposizione e in campagna elettorale, arrivata alla prova del governo la destra sta rendendo le pensioni più ingiuste con misure estemporanee e lo snaturamento di opzione donna.

Noi proponiamo di dare equità e stabilità alla previdenza, agendo su alcuni fronti:

  • La flessibilità in uscita deve essere strutturale e universale, estendendo e migliorando i meccanismi già esistenti per renderli più equi e meno penalizzanti per i redditi medio bassi
  • Disoccupati, lavori usuranti o gravosi, persone con disabilità e loro familiari devono trovare una più equa definizione e andare in pensione prima, con una quota 92 destinata solo a loro, così da rendere strutturale e più generosa l’Ape sociale
  • Opzione donna va resa strutturale, una volta per tutte, ripristinando la normativa precedente allo snaturamento operato dalla destra
  • Una pensione “di cura” deve riconoscere i periodi di cura svolti dalle donne (e dagli uomini) all’interno delle famiglie
  • Una pensione contributiva di garanzia per i più giovani, anche attraverso la valorizzazione ai fini contributivi dei periodi di formazione, perché la discontinuità del lavoro non si trasformi in ulteriore povertà nella vecchiaia
  • Il riscatto agevolato della laurea e la piena armonizzazione per la conciliazione dei contributi devono essere permessi
  • La previdenza complementare deve essere estesa e generalizzata, anche attraverso la promozione di una fiscalità di vantaggio
  • Una nuova indicizzazione deve difendere dall’inflazione gli assegni delle pensionate e dei pensionati, cancellando anzitutto il drastico taglio effettuato dalla destra nei confronti delle pensioni medie di operai e impiegati

La riforma previdenziale deve essere accompagnata da una riforma sulla non autosufficienza, per rafforzare la garanzia del reddito e dei servizi in una presa in carico multidimensionale delle persone con disabilità o anziani non autosufficienti. Un nuovo welfare della cura che tolga il peso dell’assistenza dalle sole spalle delle famiglie e spesso delle donne. Anni di distacco dal proprio progetto di vita per dedicare tempo, energia, risorse verso un familiare o una persona amica che ha disabilità o non ha più le autonomie per fronteggiare la vita quotidiana: è tempo che tutto ciò sia riconosciuto e sostenuto. Dobbiamo dare ai caregiver diritto di cittadinanza in questo Paese, partendo dalle migliori esperienze di livello europeo e regionale, per introdurre specifiche tutele, anche in ambito previdenziale, per l’inserimento e il reinserimento nel mercato del lavoro, o il completamento di percorsi di studio e formazione.

Un nuovo patto tra istituzioni e Terzo settore

Il nuovo Stato sociale che vogliamo costruire è impensabile senza il protagonismo del Terzo settore. Il Terzo settore tiene insieme persone, comunità, territori. È un elemento chiave per la coesione sociale del Paese: non solo nelle fasi di emergenza, ma nella miriade di servizi che associazioni, cooperative, enti di volontariato svolgono ogni giorno. La politica non ha difficoltà a tributare questo riconoscimento nei suoi convegni e nelle sue campagne elettorali, ma poi spesso se ne dimentica nei suoi provvedimenti.
Il PD riconosce invece pienamente questo patrimonio e, laddove opera nelle amministrazioni locali, costruisce spesso alleanze e collaborazioni con questa energia comunitaria, per ampliare le risposte sociali, assistenziali, culturali e ricreative per e con i cittadini. Ma il Terzo settore è anche un fatto economico rilevante: produce il 5% del Pil italiano e occupa oltre un milione di persone, con servizi sempre più specifici, innovativi e professionali. Non può essere trattato come un fornitore di mano d’opera a basso costo – anche perché, dalla qualità del lavoro, delle retribuzioni e dei diritti del terzo settore dipende non solo una quota crescente della popolazione, ma anche la qualità dei servizi. Eppure così avviene con bandi e convenzioni dove si integrano organici pubblici con personale di cooperative, chiamato a svolgere lo stesso lavoro ma venendo pagato molto di meno. Nei budget dei servizi che vengono messi a gara dalle amministrazioni pubbliche, i costi generali di struttura e il lavoro a essi connesso, quando riconosciuti, sono risicatissimi. Le retribuzioni riconosciute agli operatori sociali sono estremamente basse, configurando spesso forme di lavoro povero.
Prima ancora di allargare la rete dei nostri servizi di welfare valorizzando il ruolo del Terzo settore in ogni intervento legislativo – cosa che va indubbiamente fatta – dobbiamo offrire un nuovo patto agli operatori del settore. Serve un nuovo Ccnl per le lavoratrici e i lavoratori del Terzo settore che non rientrano in quello delle cooperative sociali, e serve un adeguamento di quest’ultimo per aumentare di almeno il 30% le retribuzioni attualmente previste per le figure specializzate. Ma affinché ciò sia possibile, serve un intervento legislativo opportunamente finanziato che – a parità di bandi e convenzioni – preveda che il costo della manodopera non possa essere oggetto di ribasso, né inferiore al livello retributivo di riferimento per i dipendenti pubblici che svolgono lo stesso servizio o servizi analoghi; prevedendo contestualmente che i costi generali di struttura non siano inferiori al 15%. Se davvero vogliamo costruire lo Stato sociale del post-pandemia, partiamo da questo patto, mettiamoci le risorse finanziarie che servono, passiamo dalle parole ai fatti.

Equità fiscale

Nella nostra idea di società i principi di legalità, giustizia sociale ed equità si tengono per mano. E, come ci ha autorevolmente ricordato il Presidente Mattarella, “la Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune”. La destra italiana ha una visione opposta, confermata dagli ennesimi condoni introdotti un minuto dopo essersi insediata al governo, l’ostilità ai pagamenti elettronici a favore del contante e dell’evasione, la scelta della flat tax per detassare chi guadagna di più a discapito dei redditi medi e bassi.
Per noi non ci sono dubbi: per favorire l’uguaglianza serve un’unica imposta realmente progressiva su tutti i redditi, superando i troppi regimi speciali esistenti, favorendo i pagamenti elettronici, chiedendo di pagare anche alle multinazionali. Proponiamo una riforma complessiva della tassazione che riduca la tassazione del lavoro, soprattutto – di nuovo – se a tempo indeterminato, e aumenti quella sulla rendita e sulla ricchezza; che favorisca chi investe; che semplifichi il sistema tributario, anche con la riduzione del numero e della frequenza degli adempimenti; che – di nuovo – introduca un’equità orizzontale effettiva tra lavoratori dipendenti e autonomi; che riduca l’evasione fiscale. In particolare:

  • Un’unica imposta su tutti i redditi che sia davvero progressiva. Per favorire l’uguaglianza, dobbiamo riformare il fisco per rilanciarne la progressività reale. Quando si parla di imposte sui redditi si discute sempre di aliquote, mentre poco si considerano i redditi a cui si applicano quelle aliquote. Mancano all’appello oltre 200 miliardi, che godono delle troppe cedolari di diritto e di quella grande cedolare di fatto, allo zero percento, che si chiama evasione fiscale. Dobbiamo tornare a un’unica imposta su tutti i redditi, superando i regimi speciali, che favoriscono soprattutto chi ha grandi capitali o guadagna dalle rendite, ed estirpando l’evasione con un superamento graduale del contante. Anche qui, l’esatto opposto dell’obiettivo perseguito dalla destra, che evoca un ritorno all’antico per sostenere l’evasione presente e futura. Per noi non ci sono dubbi: per favorire l’uguaglianza, quest’unica imposta su tutti i redditi deve essere progressiva. L’opposto della flat tax su cui la destra sta puntando, uccidendo del tutto la progressività e dirottando risorse pubbliche verso chi ha già di più. Con la loro impostazione si acuiscono le diseguaglianze sociali, con la nostra proposta, grazie al recupero di gettito sui redditi alti e su quelli oggi evasi, si possono ridurre le tasse sui redditi quelli medio-bassi e sul lavoro.
  • Lotta all’evasione. Oltre a un effettivo incrocio delle banche dati e l’abbandono delle pratiche dei condoni occorre: premiare maggiormente chi adempie ai propri obblighi fiscali con puntualità; eliminare ogni presunzione di colpevolezza da parte del contribuente; considerare l’introduzione, almeno a livello sperimentale, di maggiori forme di conflitti di interesse, per esempio con la deducibilità di certe spese in aree dove l’evasione è più elevata; favorire i pagamenti elettronici. Ogni euro recuperato dalla riduzione dell’evasione deve essere utilizzato per ridurre le aliquote di chi paga regolarmente le tasse.
  • Una minimum tax sulle multinazionali che operano in Italia. Quando cambia radicalmente il mondo del lavoro e della tecnologia, occorre cambiare anche il modo in cui si tassa. In un’economia sempre più immateriale non è accettabile che anche la base imponibile sia immateriale, perché chi ha potere economico la sposta da qualche altra parte. Servono rigore e serietà. A livello internazionale, l’Italia deve promuovere misure per una migliore tassazione delle imprese multinazionali, compreso la rapida ratifica degli accordi Ocse per un’aliquota minima di tassazione per queste imprese e una continua lotta all’elusione attraverso lo spostamento fittizio di attività in paradisi fiscali. Ma non basta. Nelle more di una fiscalità internazionale più giusta, proponiamo una minimum tax sugli utili prodotti dalle multinazionali. La nostra proposta può essere riassunta in questo modo: la multinazionale continua a determinare il suo imponibile e pagare le imposte secondo le regole ordinarie. Tuttavia, questo risultato viene confrontato con il peso di puntuali indicatori (beni, forza lavoro e fatturato in Italia rispetto a quelli nel resto del mondo). E la stessa percentuale del fatturato – forza lavoro – beni del gruppo che si trova in Italia deve essere quella degli utili da tassare in Italia. 
“La sola specie di amore che conosco,
e nella quale credo, è l’amore per le persone

Hannah Arendt

Nelle recenti esperienze di governo, il PD è riuscito a realizzare alcune misure importanti, capaci di estendere ed espandere i diritti. Pensiamo all’assegno unico per i figli o alle unioni civili, per esempio. Non siamo però ancora universalmente percepiti come la forza politica che protegge e ha a cuore i diritti delle persone, come il partito che lotta per l’uguaglianza. Questo deve cambiare. Divisioni interne e mancanza di chiarezza su alcuni obiettivi qualificanti ci hanno reso meno forti nella battaglia per le conquiste e ci hanno fatto mancare la connessione diretta verso chi non si è sentito rappresentato. E troppo spesso, anche quando abbiamo fatto cose giuste per la gente, le abbiamo fatte senza la gente.

Ripartiamo da qui, anche nel nostro ruolo di opposizione. Indicando anzitutto obiettivi e priorità costruiti con le persone che vogliamo rappresentare, rivolgendoci a tutta la società e respingendo gli attacchi che la destra sta già portando avanti contro la legalità (coi condoni), il lavoro (prevedendo nuovi strumenti di precarietà), la giustizia sociale (dalla flat tax ai tagli alla previdenza), le donne (da opzione donna alla 194), le minoranze (dai migranti all’identità di genere).

Ad una destra che divide e compromette le libertà personali e i diritti sociali dobbiamo contrapporre una visione della società e un’agenda politica che metta al centro l’inclusione, la promozione della cultura e la giustizia sociale come motore di progresso per il benessere di tutti.

L’universalità dei diritti è la nostra identità e il nostro valore fondante: il diritto alla salute e all’istruzione non possono conoscere distinzione di ceto sociale, reddito, territorio di residenza e provenienza.

Energia popolare per la scuola pubblica

“L’apprendimento è un luogo dove si può creare il paradiso
Bell Hooks
 

La scuola e la formazione devono tornare ad essere quell’ascensore sociale che, assicurando reali pari opportunità, permetta a tutte le bambine e a tutti i bambini di veder riconosciuti e valorizzati i propri talenti, a prescindere dalle condizioni economiche e sociali della famiglia di provenienza, e dal luogo in cui si nasce e si vive.
Nel nostro Paese invece un numero elevato di ragazzi non studia, non si forma e non lavora, (23,1%); la dispersione scolastica è piuttosto alta (12,7% rispetto al 9,9% della media europea), con livelli ben maggiori che si concentrano al Sud, tra gli alunni stranieri e tra i giovani che provengono da contesti più fragili dal punto di vista economico e sociale. Disuguaglianze che la crisi pandemica ed economica ha allargato, aumentando le distanze anche tra i ragazzi.
Per ricucire queste fratture e colmare questi ritardi, a fronte delle enormi possibilità che il PNRR offre, occorre affrontare alcune questioni imprescindibili. Avendo al centro due obiettivi strategici e complementari, che riguardano il sistema Paese nel suo insieme e ogni singolo bambino e bambina, ragazza e ragazzo: il contrasto della dispersione scolastica e il successo formativo. Per avere cittadine e cittadini sempre più forti e consapevoli, per una maggiore inclusione sociale e un’occupazione di qualità.

Ecco alcune delle nostre proposte:

  • Più risorse. Come primo atto, una volta al Governo, la destra ha deciso di tagliare le risorse della scuola giustificando questa scelta con la diminuzione degli studenti che la denatalità sta determinando. Noi abbiamo una visione opposta e ci batteremo perché le risorse attualmente stanziate restino alla scuola, per migliorare l’offerta formativa. Anzitutto per ridurre il numero degli alunni per classe e perché non siano chiuse le scuole nelle aree interne e montane: classi meno affollate, insieme ad ambienti più vivibili, sono un presupposto per la qualità; così come difendere le scuole nelle aree più periferiche e disagiate deve essere parte di una politica più complessiva di rivitalizzazione e ripopolamento dei centri minori, salvaguardando la prossimità dei servizi e l’accessibilità per famiglie e bambini, per contrastare la dispersione scolastica.
  • Potenziamento del tempo scuola. Proponiamo che il tempo pieno diventi un diritto per tutte e tutti. E non possiamo più consentire che venga tolta una sola ora di scuola a uno studente con disabilità solo perché manca il docente, ricordando che l’insegnante di sostegno è di sostegno alla classe.
  • Risorse per i servizi educativi da 0 a 6 anni. Il primo grande investimento che il nostro Paese deve fare, su scala nazionale e in termini universalistici, è sull’infanzia: è tempo di aumentare le risorse per il sistema integrato di servizi educativi da zero a sei anni, messo in campo dai nostri governi, perché tutti i bambini e tutte le bambine vedono soddisfatto il proprio diritto al nido e alla scuola dell’infanzia. Non si tratta più di prevedere la possibilità di servizi educativi a domanda individuale per una parte della popolazione, ma di rendere universale e garantito un servizio essenziale di inclusione per combattere la povertà educativa, contrastare la dispersione scolastica e favorire il successo formativo.
  • Co-progettazione sui territori per una comunità “educante”. In questa sfida è lo Stato a dover fare un passo avanti per sostenere le Regioni e in particolare gli Enti locali, sia sul fronte dell’offerta dei servizi, sia su quello dell’accessibilità e della sostenibilità. È nei comuni e nei territori, più in generale, che può e deve rafforzarsi l’idea della comunità educante, dove scuola, enti locali e terzo settore possono co-progettare in accordo con i servizi psico-pedagogici del territorio. Il post Covid ha messo in luce fragilità e criticità che erano già presenti prima, ma che si sono rivelate in tutta la loro gravità, mostrando quanto sia fondamentale tessere legami non solo tra scuole e famiglie, ma anche con tutti i servizi del territorio, avvalendosi di figure professionali competenti (educatori, psicologi, pedagogisti).
  • Portiamo l’obbligo scolastico a 18 anni. Se sapere e conoscenza sono gli strumenti di cittadinanza essenziali per rendere le persone più forti e la società più giusta, coesa e dinamica, allora non possiamo non compiere questo salto in avanti nella modernità. Occorre un grande investimento di sistema, valorizzando anche le scuole tecniche, professionali e la formazione, potenziando l’orientamento, rompendo le barriere culturali e gli stereotipi di genere che impediscono alle ragazze di scegliere in modo paritario le aree STEM. È la premessa necessaria e coerente ad una formazione continua e di massa che deve accompagnare le persone lungo l’arco dell’intera vita come primo diritto di cittadinanza. Affinché scuola e formazione tornino ad essere un ascensore sociale, strumento di emancipazione individuale e collettivo per tutte e tutti.
  • Diritto allo studio. Va assicurato a chiunque sia privo di mezzi, dall’infanzia all’Università, perché il diritto all’istruzione sia realmente gratuito e perché sia assicurato il pieno accesso a tutti i servizi che lo sostengono (dai libri, ai trasporti, alle mense), con un’attenzione particolare al tema degli alloggi per chi studia fuori sede.
  • Scuole sicure, moderne e accoglienti. Gli ambienti formativi sono parte integrante della vita scolastica di studenti e personale della scuola e concorrono all’azione formativa del nostro sistema d’istruzione. Eppure versano spesso in condizioni di scarsa sicurezza, talvolta di degrado, di scarsa efficienza energetica e sottodotazione di strumenti. Un grande piano di edilizia scolastica, da realizzare con Regioni ed Enti locali, in accordo con le autonomie scolastiche, è il principale investimento infrastrutturale che si possa fare per il futuro del Paese: scuole moderne e sicure, efficienti e sostenibili sono la precondizione di una didattica di qualità e di una vita scolastica appagante.
  • Valorizziamo gli insegnanti e il personale scolastico. Se vogliamo che l’istruzione recuperi la centralità che merita nella società che intendiamo costruire, occorre restituire pieno valore sociale al lavoro e alla funzione di chi opera nella scuola, a partire dall’adeguamento retributivo e dalla cura verso le condizioni di lavoro. Esattamente come per i medici, anche l’insegnamento deve tornare ad essere un’aspirazione di tante e tanti a cui corrisponda fino in fondo il giusto riconoscimento sociale. Serve un investimento sugli organici dell’autonomia e un progressivo accesso al ruolo dei docenti precari mediante procedure specifiche che ne valorizzino esperienza e competenza professionale.

Energia popolare per la sanità pubblica

Il 23 dicembre del 1978 nasceva il Servizio sanitario nazionale su iniziativa di Tina Anselmi, prima donna ministra della Repubblica. Con la legge 883/1978 si superava il sistema delle mutue a favore di un servizio universalistico rivolto a tutti i cittadini. Fu un fatto epocale, un enorme balzo in avanti in materia di diritti sociali e nella costruzione del welfare del nostro Paese.
La salute è un diritto universale davanti al quale non può esserci distinzione tra ricco e povero. E l’articolo 32 della nostra Costituzione dice benissimo di cosa stiamo parlando: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Quindi la persona, il singolo, ma anche la comunità nel suo insieme. Lo abbiamo visto bene nella pandemia cosa questo significhi: da un lato la necessità di curare le persone ammalate, dall’altro lo sforzo collettivo di contenere la diffusione del virus, prima con le misure restrittive e poi con i vaccini, sempre per rafforzare la prevenzione, producendo uno sforzo mai visto delle nostre strutture ospedaliere e territoriali e dei professionisti impiegati. Ricordarlo oggi è tanto più importante, nel momento in cui siamo davanti alla prima legge di bilancio del governo della destra che sacrifica proprio la sanità e perché accompagnano questa scelta altri provvedimenti a favore di medici no-vax. Nella pandemia, la politica si è dovuta assumere le proprie responsabilità, come è giusto che sia; ma lo ha fatto guidata dalla scienza, come è altrettanto giusto che sia. Mentre la destra ha rincorso posizioni antiscientifiche e contrastato le mascherine, il distanziamento, i vaccini.
Oggi, visto che il Covid non è sconfitto, anziché premiare i pochi operatori che hanno fatto la scelta no-vax, dobbiamo tutti ribadire il nostro ringraziamento e il nostro sostegno a medici, infermieri, OSS, tecnici di laboratorio, operatori sanitari ospedalieri e del territorio che hanno lavorato giorno e notte per difendere la salute delle persone e della comunità, come dice la Costituzione. Molti di loro, per curare noi, si sono ammalati. Molti sono morti.
La politica, quando sceglie, dice da che parte sta. E il PD sta dalla loro parte e dalla parte del Sistema Sanitario Nazionale.
La pandemia ci ha ricordato il valore essenziale della sanità pubblica e universalistica: per troppi anni la politica aveva disinvestito su questo servizio cruciale. Lo abbiamo visto rispetto al troppo personale mancante, ai servizi territoriali troppo fragili rispetto alla rete ospedaliera, alla difficoltà che registriamo oggi a chiudere a pareggio i bilanci delle aziende sanitarie e, di converso, a recuperare le lunghe lista d’attesa che si sono accumulate rispetto alle visite specialistiche e alla chirurgia.
Quando il servizio non riesce a rispondere in tempi adeguati al bisogno di salute di tutte le persone, allora si determinano due effetti perversi: anzitutto si allungano le liste d’attesa e viene così meno il requisito dell’adeguatezza dei tempi delle prestazioni sanitarie, che possono essere un fattore cruciale nella prevenzione, nella cura e nella tempestiva presa in carico del cittadino; il secondo è che i cittadini che se lo possono permettere si rivolgono al privato, mentre gli altri restano indietro, generando così quell’ingiustizia e disparità tra le persone proprio per superare le quali il SSN è nato. Ci aspetta una battaglia politica e culturale, in Parlamento e nel Paese, mobilitando tutte le forze di cui la società dispone. La grande questione di fondo è se vogliamo preservare e rilanciare il servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico rispetto ad una destra che intende colpire la sanità pubblica a favore di quella privata.

Alcune delle nostre proposte:

  • 5 miliardi in più sul Sistema Sanitario Nazionale. Il primo problema è il sottofinanziamento del SSN: da troppo tempo ci diciamo che la spesa sanitaria dell’Italia deve essere allineata a quella degli altri Paesi europei. Durante la pandemia avevamo fatto un passo avanti, ma adesso rischiamo di farne due indietro. L’obiettivo che ci eravamo dati durante la pandemia, anche grazie ai 20 miliardi stanziati dal PNRR per la sanità, era quello di portare la spesa sanitaria stabilmente oltre il 7% del Pil. Da quest’anno invece riprenderemo ad allontanarci da quel traguardo. Si torna indietro invece che avanzare. Se la sanità è una priorità bisogna ripartire da qui: servono almeno 5 miliardi strutturali in più sul fondo sanitario, al netto del caro inflazione e caro bollette.
  • Garantiamo i livelli essenziali di assistenza. Il presupposto di un SSN è quello di garantire a ciascun cittadino di ricevere le migliori cure disponibili, a prescindere dal territorio di residenza. In Italia non è così: si va da punte di eccellenza internazionale a territori da cui i cittadini invece partono quotidianamente per andare a curarsi altrove. Per noi tutto questo è inaccettabile. Se vogliamo che le persone possano curarsi nella propria città servono più risorse e risorse distribuite meglio. E serve una buona gestione: costi standard perché non ci siano sprechi, certamente; ma anche piani di rientro che non siano legati solo ai bilanci, ma alla qualità e quantità delle prestazioni erogate. Altrimenti è un cane che si morde la coda: rischiamo di dare maggiori risorse al Sud per pagare la mobilità sanitaria verso le regioni del Nord, anziché rafforzare i servizi là dove sono carenti.
  • Investiamo nel personale. In questi anni l’Italia ha sacrificato la formazione e il reclutamento di medici, infermieri e operatori in generale alla logica di rigidi e anacronistici tetti di spesa, fissati via via dalle leggi dello Stato. Salvo poi scoprire che il bisogno di salute nella società sta costantemente aumentando (anche solo banalmente per l’invecchiamento costante della popolazione) e il personale invece diminuisce. Durante la pandemia, come si fa nell’economia di guerra, abbiamo sperimentato misure straordinarie per far fronte all’emergenza: alcune di queste misure continueranno a servire anche adesso, altre potranno essere migliorate e rese strutturali (ad esempio la possibilità di contrattualizzare in formazione e lavoro gli specializzandi). Ma bisogna uscire dall’emergenza. E visto che il personale non si forma in poco tempo, servono subito alcune misure shock. 
  • Superiamo il numero chiuso nelle facoltà di medicina. È sbagliato tenere fuori dalle Università i tanti giovani che vogliono provarci, visto che abbiamo davanti anni di penuria di personale; bene aver aumentato le borse per gli specializzandi, perché questa era la priorità, ma la cura deve essere più forte e radicale. Ciò che non possiamo fare è rimanere con le mani in mano. Si riformi l’esame d’accesso, si avvii un percorso serio, eventualmente anche graduale, che implementi contemporaneamente anche le borse per la specializzazione, ma non possiamo stare fermi.
  • Valorizziamo al massimo la figura professionale e il ruolo degli infermieri e delle professioni sanitarie: sono professionisti che prestano un lavoro non meno pesante ed essenziale di quella dei medici; in altri Paesi svolgono da tempo mansioni che qui non sono previste o che comunque non sono concretamente praticate; e sono certamente sottopagati, se è vero che abbiamo meno candidati che posti disponibili nei concorsi. Se non vogliamo rimanere senza infermieri negli ospedali e nel territorio bisogna valorizzare questi professionisti, prevedere adeguati percorsi di carriera e pagarli di più. Esattamente come tutti coloro, medici e infermieri, che operano nella rete dell’emergenza/urgenza, il servizio oggi in maggior sofferenza, da cui gli operatori rischiano di scappare se non diamo una mano concreta.
  • Riconosciamo la funzione essenziale degli operatori sociosanitari, che nella pandemia sono stati chiamati a svolgere anche mansioni superiori. Ce ne servono di più. Esiste certamente un problema di accesso e di formazione, ma anche in questo caso possiamo formarne di più se li paghiamo di più. Altrimenti, come avviene per le assistenti familiari, nelle nostre case, non troveremo personale che si occupi delle persone più fragili.
  • Aumentiamo e utilizziamo meglio i Medici di Medicina Generale. L’attuale assetto è insoddisfacente da molti punti di vista: mancano i medici nel territorio e stiamo lasciando scoperte troppe famiglie, a partire da chi vive nelle aree interne, in montagna, nelle periferie, nei piccoli comuni e nelle frazioni. E rischiamo, con i soldi del PNRR, di aprire nuove Case di comunità ma di non avere poi il personale che serve a farle funzionare. Le Regioni sono pronte a fare un passo avanti per una riforma di sistema, dica il Governo cosa pensa di fare. Occorre inoltre sgravare i medici di medicina generale dei troppi compiti amministrativi e burocratici affinché possano dedicare la totalità del loro tempo al rapporto con i loro assistiti.
  • Riformare la rete di servizi territoriali. Gli ospedali non bastano: non sono adatti a garantire i servizi di base e non si può gestire in quelle strutture tutto il carico delle prestazioni che riguardano la cronicità, che invece devono essere garantite sul territorio, per rispondere ai bisogni dei cittadini in tempi rapidi e certi. Occorre evitare ogni accesso improprio alle strutture di Emergenza Urgenza, ai Pronto Soccorso, perché si traducono in file estenuanti o in ricoveri inappropriati. Ma attenzione: gli accessi sono impropri non per colpa dei cittadini, ma perché mancano spesso alternative ai pronto soccorso. La rete territoriale di cure primarie è emersa come vero punto nevralgico nella pandemia: irrobustirla a tutti i livelli deve essere la priorità. Tantopiù che le persone anziane, che sono le prime ad aver bisogno di un maggior numero di servizi, stanno aumentando. E con l’invecchiamento della popolazione aumenta anche il numero delle persone non autosufficienti. È quindi necessario rafforzare la rete delle cure primarie e dei servizi: Case di comunità, che devono diventare la naturale, semplice, vicina porta di accesso a tutti i servizi; e Ospedali di comunità, assistenza domiciliare, medici di medicina generale e infermieri di comunità che collaborino attivamente e in modo integrato con gli assistenti sociali, servizi diurni e residenziali per le persone non autosufficienti. Le stesse farmacie devono continuare a sviluppare la farmacia dei servizi e stare in rete con i servizi di comunità, così come possono ulteriormente qualificarsi come centri di servizi per la salute.
  • Maggiori servizi per il benessere psicologico. Il tema è stato derubricato come secondario per troppo tempo, e in molte realtà rimane ancora un vero e proprio tabù che dobbiamo affrontare innanzitutto da un punto di vista culturale. La pandemia ha portato alla luce un problema preesistente che richiede delle forti soluzioni politiche e pubbliche. Va aggredito anzitutto il tema materiale dell’accesso: non possiamo più accettare che possa curarsi e fare prevenzione solo chi se lo può permettere. Occorre rafforzare i dipartimenti di salute mentale, prevedere servizi di psicologia di base nei territori, nelle scuole e nelle università, rafforzare la neuropsichiatria infantile, ma anche ampliare lo sguardo e cercare risposte ai temi della qualità e dei tempi di vita, della solitudine nell’invecchiamento, dei disturbi alimentari, della marginalità e dell’esclusione sociale, dalle carceri, ai luoghi di lavoro. Serve, ora più che mai, in piano straordinario per il benessere psicologico.
  • Investiamo nella lotta contro il cancro. Una patologia in crescente aumento a tutte le età, che può colpire in ogni momento della vita, dove sono sempre di più i giovani e bambini coinvolti. È una malattia che coinvolge e sconvolge tutto il nucleo familiare del malato. La buona notizia è che oggi si può guarire o cronicizzare la malattia, per guadagnare anni importanti alla propria vita; grazie alla scienza, poi, nuovi traguardi sono a portata di mano. L’Italia è stata protagonista in questi ultimi anni di progetti europei avanzati per la lotta al cancro e l’accesso alle nuove terapie. Battersi per l’universalismo delle cure significa garantire da Palermo a Bolzano il meglio dei piani diagnostici e terapeutici a disposizione per i nostri cittadini: dalla diagnostica di precisione ai nuovi farmaci e terapie, dall’umanizzazione delle cure alle reti oncologiche territoriali, dall’assistenza domiciliare integrata ai diritti sociali (come il diritto all’oblio e al lavoro). Una persona su due incontrerà il cancro nel corso della propria vita e il nostro compito è ad assicurare qualità delle cure e dignità alla persona ammalata su tutto il territorio nazionale.

Energia popolare per la casa

Basta case senza persone e persone senza casa. Soprattutto nelle grandi città, meta di tanti studenti e lavoratori fuorisede, nonché del turismo di breve durata, diventa sempre più complicato poter trovare un’abitazione adeguata a prezzi sostenibili. La spirale dei prezzi di acquisto e di affitto si muove in piena controtendenza rispetto all’andamento dei redditi, mettendo in crisi un diritto essenziale di cittadinanza per tante famiglie e costituendo una barriera d’accesso insormontabile per i giovani. È proprio nell’accesso negato al diritto alla casa che si infrangono i progetti di emancipazione, di costruzione di una famiglia e di fare figli delle nuove generazioni.
Come detto, le stesse piattaforme di hosting, che non pagano nemmeno le tasse nel nostro Paese, stanno trasformando un “business familiare” in centrifughe che spiazzano il mercato immobiliare e svuotano i centri storici, allontanando gli stessi ceti medio dai quartieri che un tempo avremmo definitivo “residenziali”, fatti su misure per le famiglie.
È indispensabile che il nostro Paese riprenda una politica per la casa abbandonata da troppi decenni.

Ecco alcune delle nostre proposte:

  • Un piano di edilizia residenziale pubblica, popolare e sociale, e convenzionata che accresca significativamente l’offerta di alloggi a prezzi calmierati; un intervento di riqualificazione e rigenerazione di aree abbandonate o degradate che trasformi le città, con alloggi adeguati per dimensioni, sicuri ed efficienti per contenere i costi di gestione
  • Aggiornare la legislazione sugli affitti, rimettendo in equilibrio il diritto degli inquilini ad un affitto sostenibile con quello dei proprietari a veder rispettati i contratti
  • Adottare un modello di ‘Housing First’, come sperimentato in altri paesi europei, per affrontare e prevenire altri fenomeni di marginalità sociale
  • Una nuova disciplina per l’hosting che salvaguardi le priorità sociali: famiglie, studenti e lavoratori fuori sede

Energia popolare per la cultura

Il PD concepisce la cultura come un valore fondamentale e un diritto universale.

La promozione e la diffusione della cultura – al centro così come nelle periferie e presso ogni ceto sociale – costituisce anche un asse portante della nostra idea di società e comunità, attraverso cui costruire politiche di inclusione e giustizia sociale.

La cultura, in tutte le sue forme ed espressioni, è anche un servizio essenziale. Per questo è prioritario recuperare, oltre a quelli sociali, anche i divari territoriali in termini di presenza delle istituzioni e dei servizi culturali tra Nord e Sud, centro e periferie.

Il più importante patrimonio culturale italiano è formato dai suoi artisti, dai suoi operatori culturali, dai suoi intellettuali: noi vogliamo che siano i protagonisti nella vita del Paese e riteniamo essenziale, come PD, avere con questo mondo un rapporto costante di confronto.

Infine, ma non da ultimo, la cultura è anche un ambito di attività sociali e un settore economico, dove lavorano artisti e gli operatori culturali, che come tali vanno riconosciuti, tutelati e valorizzati.

Energia popolare per lo sport

Anche lo sport è un diritto sociale: promuovere e sostenere l’attività fisica e corretti e sani stili di vita significa prendersi cura di un bisogno primario delle persone. Per questo è essenziale che l’attività motoria torni nelle scuole di ogni ordine e grado, come ci siamo impegnati a fare nella scorsa legislatura; così come è imprescindibile che i comuni, anche i più piccoli e periferici, dispongano di una rete di spazi e strutture dedicate allo sport.

È altrettanto essenziale sostenere l’accesso al diritto allo sport anche per le ragazze e i ragazzi che vivono in condizioni di povertà o di disagio sociale: perché lo sport è un collante sociale che costruisce comunità, che avvicina le persone in una relazione positiva. E lo sport deve essere inclusione e lotta ad ogni discriminazione.

La politica nazionale considera troppo spesso lo sport un ambito secondario o ancillare, trascurandone il valore aggiunto sia in termini sociali che economici. Ma nello sport si costruiscono anche lavoro, professionalità, economia reale. E le potenzialità che le manifestazioni nazionali hanno travalicano spesso i confini nazionali, proiettando nel mondo il nostro Paese con le sue eccellenze e i suoi talenti.

Ecco alcune delle nostre proposte:

  • Sport per tutte le classi in tutte le scuole di ogni ordine e grado
  • Sostegno strutturale all’impiantistica sportiva dei comuni, con una particolare attenzione alle aree interne e montane, come a quelle rurali e periferiche
  • Sostegno ai valori dello sport contro ogni discriminazione e quale ambito di inclusione e integrazione
  • Sostegno al diritto allo sport per le famiglie, in particolare per quelle numerose o con redditi medio bassi e bassi, perché lo sport sia davvero per tutti
  • Una politica industriale per lo sport, che riconosca e valorizzi il valore aggiunto del settore e la capacità moltiplicativa dei grandi eventi anche in chiave promozionale e turistica

Energia popolare per i diritti e le libertà

Per noi i diritti civili, politici e sociali stanno sempre insieme: si tengono e si rafforzano vicendevolmente al pari delle libertà. Proprio le società che vedono tutelate e valorizzate le differenze, sono quelle dove la coesione sociale, l’economia e il benessere della comunità crescono maggiormente. E noi vogliamo costruire una società più libera e inclusiva.

Ecco alcune delle nostre proposte:

  • Diritti delle donne. Ancora oggi ostaggio di dinamiche discriminatorie in qualunque ambito, sono anche le prime vittime in assoluto della violenza e dell’odio nel nostro Paese e le prime a veder minacciati i propri diritti di libertà, non solo sociali ed economici. Tra le priorità:
    • Aumentare l’impegno al contrasto della violenza di genere, che è sempre violenza maschile, a partire dalla prevenzione: a partire dalle scuole, rendendo obbligatoria l’educazione di genere, come quella all’affettività e quella sessuale; altrettanto sui luoghi di lavoro, col supporto dei corpi intermedi e delle associazioni che si occupano di questa piaga. In parallelo, bisogna aumentare i fondi e le strutture dedicati all’accoglienza di donne e minori vittime di violenza; spingere su campagne informative e formative il più ramificate possibile per raggiungere le potenziali vittime di ogni età, origine e classe sociale; e far funzionare al meglio le leggi che abbiamo conquistato e oggi ci sono per proteggere le vittime e sanzionare i reati
    • Pieno rispetto della legge 194/78, respingendo la retrograda offensiva culturale della destra e garantendo l’effettivo esercizio del diritto all’autodeterminazione e all’interruzione di gravidanza in tutto il territorio
    • Lotta a qualsiasi forma di vittimizzazione secondaria di cui soffrono quasi tutte le donne vittime di violenza, molestie online e mobbing. A partire dall’educazione e dall’informazione, l’impegno contro il fenomeno della vittimizzazione secondaria deve essere importante quanto quello sulla lotta alla violenza di genere, considerati i danni anche permanenti che può lasciare sulle vittime, quasi sempre donne.
      Anche fenomeni come quello della sindrome da alienazione parentale, usata per ritorcere i figli contro le madri durante separazioni conflittuali, devono essere combattuti come violenze di genere.
  • Diritti LGBTQI+ Anche il riconoscimento della diversità di identità e di orientamento sessuale vede nella destra al governo un rischio di pericoloso arretramento. Il PD non lo permetterà. Tra le nostre priorità:
    • una legge per la prevenzione e il contrasto della discriminazione della violenza basate sul sesso, l’orientamento sessuale e l’identità di genere
    • istituire il matrimonio egualitario
    • riformare il sistema delle adozioni superando ogni discriminazione
    • il superamento della 164/82 e nuova legge per garantire il diritto all’identità di genere dell’individuo
    • la messa al bando di ogni teoria riparativa
    • la tutela delle persone intersessuali, come richiesto dalla risoluzione 2018/2878 (RSP) del Parlamento Europeo
    • sostegno alle agenzie pubbliche che si occupano di anti-dicriminazione e alle associazioni e agli enti del terzo settore che lavorano ogni giorno a fianco di chi subisce violenze o viene discriminato, anche con strutture dedicate dove accogliere le persone LGBTQI+ cacciate di casa o con altre difficoltà
  • Diritti delle persone con disabilità. Quando si parla di disabilità, spesso ci viene da pensare solo a quelle “visibili”, fisiche, ma si tratta di un vero e proprio universo di diversità. Ognuna con le proprie esigenze, spesso messe da parte, oppure peggio, nascoste. Una società che rimuove e non include le diversità non è quella inclusiva che invece noi vogliamo. L’abilismo intrinseco della nostra società può e deve essere combattuto con diversi strumenti, ma il primo è quello culturale, a partire da tutte le agenzie educative. E la scuola è il primo luogo dove andare ad aumentare l’inclusione delle diversità, tramite percorsi formativi per insegnanti e studenti, ma anche garantendo la piena possibilità di bambini, bambine, ragazze e ragazzi con disabilità di accedere e partecipare alla vita scolastica a pieno. Parimenti, l’accesso al lavoro o a laboratori protetti deve rimanere un obiettivo sociale prioritario, mettendo qualsiasi persona elle condizioni di partecipare, valorizzando le diverse abilità e rimuovendo o riducendo gli ostacoli che ne impediscono l’effettivo esercizio. Anche a casa le persone con disabilità, insieme alle loro famiglie e ai loro caregiver, devono vedere garantito ogni supporto necessario per la tutela della loro dignità. E deve aumentare l’impegno di innovazione e trasformazione per l’accessibilità e la piena fruizione di tutti gli spazi aperti e chiusi, di tutti i servizi pubblici e privati, della mobilità individuale e collettiva. Perché un territorio che abbatte le barriere è un luogo dove tutte e tutti viviamo meglio, insieme.
  • Ius soli e ius scholae. La questione dell’accesso alla cittadinanza italiana è stata brandita dalla destra come una clava per contrapporre persone a persone e diritti a diritti, ignorando (o deprecando) come la nostra società sia cambiata e continui a cambiare in modo costante e inesorabile. Spesso ci si ferma all’aspetto ideologico, senza invece considerare che la cittadinanza non è solo una questione di appartenenza ad un popolo, ma di accesso a tutta una serie di diritti e doveri che fanno parte del nostro essere cittadine e cittadini italiani ed europei. Noi vogliamo costruire una comunità più coesa e aperta, e riteniamo che la legge debba registrare il cambiamento intervenuto e accompagnare in modo serio e inclusivo questa trasformazione. Riconoscendo che chi nasce e studia in Italia non può che essere un cittadino o una cittadina d’Italia. È il tempo di una riforma moderna e giusta che superi la discriminazione che vivono oggi oltre 850 mila bambini e adolescenti nel nostro Paese.
  • Diritti dei migranti e richiedenti asilo. Anche la migrazione è un fenomeno ineludibile e come tale va governato, contemperando il diritto delle persone a muoversi, quello dei profughi a ricevere asilo e assistenza, quello del nostro Paese a poter programmare, gestire e includere, operando nella legalità. Fuori da ogni logica emergenziale imposta dalla destra, è tempo che l’Italia faccia un passo avanti: pianificando flussi regolari, accompagnati da efficaci politiche di integrazione. Per chiudere la “fabbrica di clandestinità” e svuotare i canali d’ingresso irregolari, per superare la logica delle esternalizzazioni delle frontiere e portare in Europa una politica di gestione comune dei flussi, per costruire un’integrazione efficace e corrispondere alla crescente domanda di manodopera che il nostro sistema produttivo manifesta.
    Noi proponiamo:

    • L’istituzione di un’Agenzia di Coordinamento delle politiche migratorie, come accade in altri importanti paesi europei, che sottragga la gestione diretta del tema al governo di turno
    • La programmazione di adeguati flussi di immigrazione legale, anche qualificata
    • L’allestimento di corridoi umanitari utili a mettere in salvo i profughi di guerre e persecuzioni; dobbiamo superare la stagione della criminalizzazione delle ONG, perché chi salva vite in mare va ringraziato, non punito
    • Una nuova legge sull’immigrazione che cancelli la Bossi-Fini, che permetta di gestire in modo ordinario e coordinato l’ingresso legale in Italia per ragioni di lavoro e, riguardo alla residua quota di immigrazione informale, promuova per gli aventi diritto per un’accoglienza e un’integrazione di qualità ispirata a criteri di umanità, legalità e sicurezza
    • Lo sviluppo del Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI) diffuso sul territorio e collegato al mondo delle associazioni di categoria, dell’associazionismo, delle imprese e del volontariato
    • Il potenziamento degli strumenti dell’integrazione, come l’insegnamento della lingua italiana e dei servizi volti ad apprendere le principali regole, la formazione professionale, ecc., l’integrazione nelle comunità locali, prevenendo viceversa dinamiche di segregazione, di scivolamento verso l’illegalità, con le conseguenti tensioni sociali
    • La costruzione di una politica europea che affronti la migrazione come grande tema di politica estera, attinente i diritti umani, la dimensione demografica e lo sviluppo economico. Questo vale per la gestione dei flussi informali, per una redistribuzione equilibrata degli ingressi, per la definizione di una vera politica europea su migrazione e accoglienza tra i Paesi Ue
  • Diritto alla giustizia. I cittadini hanno bisogno di una giustizia che sia più veloce, efficiente, efficace, nel giusto equilibrio tra il rispetto delle garanzie e delle libertà, la tutela dei diritti, la punizione dei reati. Nella scorsa legislatura il governo Draghi ha approvato riforme coraggiose e di ampio respiro riguardanti la giustizia civile, la giustizia penale e l’ordinamento giudiziario che, se adeguatamente attuate, possono snellire la macchina, accelerare i procedimenti, migliorare l’efficienza del sistema. Purtroppo incombe sul loro destino l’approccio ideologico della destra, che non legge mai il bisogno dei servizi di giustizia con gli occhi dei cittadini o delle imprese, ma sempre con quelli della politica in guerra con la magistratura. Noi crediamo viceversa che serva una tregua sul piano sistemico, per affrontare i problemi concreti della gestione.
  • Diritto alla sicurezza. Ogni cittadino ha il diritto di essere e sentirsi sicuro e compito precipuo dello Stato è soddisfare tale bisogno primario, presupposto di ogni pacifica convivenza ed elemento imprescindibile di coesione sociale. Per questo il diritto alla sicurezza e le politiche per assicurarlo rientrano a pieno titolo tra le nostre priorità. Naturalmente, la sicurezza non è riducibile al solo perimetro dell’ordine pubblico, ma ha assunto via via una cornice molto più ampia, che abbraccia moltissimi campi della vita sociale. E proprio questa evoluzione, in termini di dilatazione degli ambiti e di complessità dei fenomeni, fa emergere l’insufficienza e l’inefficacia di un approccio securitario e panpenalistico, tipico della destra. Così come l’ideologia sovranista-nazionalista, che pretende di trovare all’interno dei singoli Stati la chiave di soluzione per il governo di tutti i problemi, non regge più alla realtà dei fatti: molti fattori d’insicurezza oggi hanno cause e dinamiche più ampie, e come tali richiedono risposte a quella scala.
    La sicurezza è un problema prioritario per il PD perché investe anzitutto le persone economicamente o socialmente più deboli, nonché la comunità nel suo insieme. Anche per questo ogni privatizzazione della sicurezza proposta dalla destra – che sotto la mistificazione dell’autodifesa assegna al cittadino il dovere di autoproteggersi – non fa altro che tradire il dovere dello Stato di proteggere i cittadini, riservando il privilegio della tutela a chi se lo può permettere, come fosse un lusso. Per questo noi crediamo invece che vadano sostenute le forze dell’ordine e le autorità pubbliche nell’esercizio imprescindibile delle proprie funzioni. E crediamo che la spesa privata di sicurezza che la destra alimenta vada invece impiegata per rafforzare e ammodernare le politiche di sicurezza per la comunità nel suo insieme, come un bene comune.
  • Diritto alla Dignità per l’Ultima Ora. Vogliamo garantire la libertà di auto-determinazione. Noi siamo per un’ultima ora di dignità, con la famiglia e in alleanza coi medici, tutelando il diritto di ciascuno di scegliere per la propria persona; non per pratiche clandestine o espatri forzati.
“Il paesaggio è la sede della nostra anima collettiva.
Il luogo dove le nostre identità hanno preso forma
rapportandosi continuamente con la natura.
L’Italia è
culla di una diversità multiforme per via della sua
posizione, clima e conformazione.
Ma le genti e l’umanità, le agricolture e il cibo, l’arte e il
bello
che si sono formati attraverso il lavoro degli italiani, in
un lento, meticoloso, spesso faticoso ma (quasi sempre)
costruttivo rapporto con il contesto naturale,
hanno pochi eguali al mondo.
Come forse ha pochi eguali al mondo la creatività che
abbiamo messo per trasformare i luoghi che abitiamo
in qualcosa
di meraviglioso, molto spesso da mozzare il fiato”.

Carlo Petrini

Patrimonio e Cultura: l’unicità italiana

L’Italia è con il suo paesaggio, il suo clima e le sue terre, il paese che vanta la maggior biodiversità di colture e natura al mondo. Così come unico è il suo patrimonio enogastronomico e di tradizioni artigianali, di saperi e dialetti, di culture e bellezza. La cultura millenaria del nostro paese costituisce non solo un architrave del nostro stare insieme, ma la cifra di ciò che l’Italia può rappresentare per il mondo.

L’Italia possiede oltre 5.000 siti culturali tra musei, siti artistici e archeologici, 58 siti Unesco che interessano 406 comuni. Oltre 8.000 km di costa. In due terzi dei comuni italiani sono coltivati prodotti DOP o IGP: non c’è paese e in Europa e nel mondo che possa vantare anche solo la metà di questa eccellenza agroalimentare.

Il sistema produttivo culturale e creativo italiano genera oltre 90 miliardi di euro in via diretta, 250 nell’insieme, dando lavoro a oltre 1,5 milioni di persone. L’Italia investe però solo lo 0,4% del Pil in cultura, una percentuale più bassa rispetto ad altri grandi paesi europei.

Basti dire che oggi le meravigliose regioni del sud del nostro paese – con clima favorevole, patrimonio naturale, paesaggistico, e artistico straordinario, e con grandi energie creative giovanili, anche se spesso prive di opportunità – non raggiungono il 10% delle presenze turistiche in Italia. Secondo tutte le analisi e soggetti di ricerca, l’Italia non figura ai primi posti per attrattività e sviluppo di business per la qualità dell’ambiente e per la logistica per raggiungere le destinazioni turistiche; al contrario risulta ai primi posti per attrattività dei giacimenti artistici, per le tradizioni enogastronomiche e gli stili di vita.

Esiste poi un fenomeno di overtourism: una concentrazione di presenze in alcuni hub turistici italiani e città d’arte che non può essere soddisfatta in termini di offerta, mentre permane un patrimonio secondario ma straordinario ampiamente sottoutilizzato.

Turismo, industria strategica per il Paese

Nel 2019, quindi in tempi pre pandemici, il turismo contribuiva a generare, tra contributo diretto e indiretto, tra il 13% e 14% del Pil nazionale: quindi uno dei principali motori dell’economia.

Secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo, nel 2022 la ripresa per l’Italia ha raggiunto circa il 65% dei livelli pre Covid, in linea con la crescita europea. Nel 2019 l’Europa era la prima tra le macro aree mondiali per arrivi turistici internazionali ed entrate economiche derivanti: l’Italia era però abbondantemente alle spalle di Spagna e Francia.

La pandemia globale ha colpito al cuore il turismo. Ancora oggi il settore risente fortemente della crisi economica ed energetica, nonché della tragedia della guerra in Ucraina. Insieme all’importanza strategica del settore, queste crisi cumulate hanno anche evidenziato una volta di più fragilità dello stesso, altamente frammentato, interdipendente e articolato su un tessuto prevalente di piccole e medie imprese.

La destra al governo ha già dimostrato di non avere una strategia in proposito. La mancata realizzazione dei provvedimenti annunciati, le risorse insufficienti stanziate e i nodi ulteriormente rinviati rappresentano una pessima partenza. Il PD individua invece nella cultura e nel turismo, in crescente connessione tra loro, una delle industrie strategiche del Paese per generare crescita e occupazione. Occorre però una vera e propria politica industriale per i due settori, in grado di far crescere e qualificare la produzione e con essa la quantità e la qualità dell’occupazione.

Ecco alcune delle nostre proposte:

  • 1% del Pil Italiano destinato alla cultura e al patrimonio culturale: l’Italia, disponendo del maggior patrimonio europeo e mondiale, non può essere fanalino di coda fra i grandi paesi europei negli investimenti in cultura. La valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del Paese non può che passare da un adeguamento delle risorse investite a favore di una delle nostre più straordinarie caratteristiche strategiche, in grado di generare ricchezza e lavoro
  • Integrazione delle piattaforme digitali per l’offerta di cultura: occorre integrare l’offerta culturale e turistica del Paese attraverso una piattaforma che coinvolga soggetti pubblici e privati. Il sistema di promozione del nostro patrimonio culturale non può più essere frammentato
  • Valorizzazione del “brand” italiano: gli attuali enti preposti per tale attività non sono stati in grado di ottenere i risultati attesi. È indispensabile unificare le attività di promozione costituendo una Agenzia Nazionale per la promozione del brand Italia, che preveda la collaborazione fra Governo e Regioni
  • Accrescere il fondo rotativo per le imprese del settore ricettivo: l’attuale fondo ha ha tempi di rientro decisamente insufficienti per ammortizzare gli investimenti che devono essere sostenuti dalle imprese
  • Piano di sostegno della montagna e delle aree interne: è necessario prevedere un piano di finanziamento e riqualificazione per gli impianti di risalita, per incentivare la nascita di nuove proposte turistiche sui territori, e per favorire la nascita di una offerta più ampia e variegata
  • Piano Aeroportuale Nazionale: è indispensabile definire un piano aeroportuale unico e nazionale a favore delle varie aree, evitando meccanismi di concorrenza territoriale che danneggiano l’insieme e favoriscono unicamente i vettori
  • IMU per i Comuni turistici: è fondamentale che i comuni di più piccola dimensione non siano costretti a versare il proprio surplus di IMU al fondo di solidarietà nazionale, ma che possano utilizzare queste risorse ad investimenti per l’attrattività del territorio
  • Legge nazionale su affitti brevi per regolamentare settore: è necessario definire una legge nazionale che consenta di reprimere gli abusi, e incentivi il corretto sviluppo del turismo senza compromettere la struttura di offerta abitativa dei territori
“La bellezza tornerà a visitarci”.

Franco Cassano

La questione meridionale è questione nazionale. E il PD intende promuovere una politica di sviluppo nazionale che abbia al centro il Sud per rendere l’Italia un Paese più forte, più giusto e più unito. Riprendere con forza il tema di una moderna politica per il Mezzogiorno significa riaffermare il carattere nazionale del PD, una ispirazione ideale irrinunciabile.

È necessario però un radicale cambio di approccio, che superi la logica del mero assistenzialismo, ma punti a creare sviluppo e ad assicurare pari opportunità, diritti, servizi a tutti i cittadini, in ogni territorio dell’Italia.

È la sfida che abbiamo iniziato ad affrontare ottenendo le risorse del Next Generation EU ed avviando l’attuazione del PNRR, con la clausola del 40%, quale soglia minima degli interventi da realizzare nel Sud: vigileremo su questo obiettivo cruciale e sull’effettivo impiego delle risorse, accanto all’impegno rigoroso per assicurare il vincolo di destinazione territoriale dei fondi per la coesione nazionali ed europei.

Valorizzeremo la Carta di Taranto come agenda della nostra politica per il sostegno al lavoro e agli investimenti pubblici e delle imprese, per offrire opportunità ai giovani e rilanciare i servizi territoriali.

Ecco alcune delle nostre proposte:

  • Incentivi fiscali robusti e zero burocrazia per chi vuole investire, rafforzando e rendendo strutturali alcuni strumenti decisivi di politica industriale regionale, quali il credito di imposta per investimenti in impianti, attrezzature e macchinari nonché per attività di ricerca e sviluppo
  • Taglio strutturale del 30% dei contributi previdenziali per le assunzioni a tempo indeterminato
  • Sviluppo di un piano coordinato di politiche industriali, interventi infrastrutturali e politiche attive per il lavoro
  • 300mila nuovi lavoratori nelle Pubbliche Amministrazioni del Mezzogiorno, per colmare i vuoti di pianta organica, reclutare nuove competenze con cui sostenere l’innovazione, i servizi e l’attuazione degli interventi del PNRR
  • Piena attuazione delle ZES, quale strumento fondamentale per costruire un nuovo modello di sistema territoriale centrato sul Mediterraneo, attraendo aziende nel Mezzogiorno attraverso misure specifiche di vantaggio fiscale e semplificazione amministrativa
  • Promozione di misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità, in conformità al riconoscimento della peculiarità delle Isole introdotto in Costituzione
  • Investimenti nello sviluppo digitale e nella sostenibilità ambientale, a partire dalla lotta al dissesto idrogeologico e al consumo di suolo, in un territorio di straordinaria bellezza ma di enorme fragilità, fino agli interventi sullo sviluppo delle fonti rinnovabili
  • Sostegno all’agricoltura mediterranea, con nuovi strumenti e forme di intervento per supportare lo sforzo produttivo delle aziende
  • Centralità alla scuola e alla formazione per accompagnare l’investimento sulle persone a quello sul sistema produttivo lungo gli assi di sviluppo individuati
  • Investimento sulla sanità pubblica, universalistica e del territorio – a partire da quello più importante sui professionisti e sul reclutamento – per fermare la mobilità sanitaria, con nuovi criteri di riparto del FSN che riequilibrino le attuali disuguaglianze, considerando adeguatamente la deprivazione sociale e la mortalità
  • Contrasto delle mafie e di ogni forma di illegalità per tutelare e promuovere un’economia sana che collabori con una Pubblica Amministrazione robusta e trasparente, producendo occupazione di qualità e rispetto dell’ambiente e del territorio
“Spesso il termine utopia è la maniera più comoda per
liquidare quello che non si ha voglia, capacità o
coraggio di fare.
Un sogno sembra un sogno fino a quando non si
comincia a lavorarci.
E allora può diventare qualcosa di infinitamente più
grande”

Adriano Olivetti

Un Paese scarsamente digitalizzato è un Paese ineguale. La mancanza di accesso adeguato al digitale e alle tecnologie innovative non è unicamente un danno alla competitività di un sistema economico, ma anche un elemento che accentua le diseguaglianze fra i cittadini. In un mondo altamente digitalizzato, cittadini che non hanno un adeguato accesso al digitale rischiano di rimanere isolati dalla società. Inoltre, al pari dell’istruzione pubblica, l’educazione al digitale per i cittadini rappresenta l’unica via percorribile per renderli capaci di muoversi in modo consapevole nel mondo di oggi, evitando di divenire facile preda di distorsioni quali quelle delle fake news e dalla disinformazione. Per queste ragioni il PD assume la sfida digitale come componente essenziale del proprio progetto democratico e di giustizia sociale.

È inoltre fondamentale ricordare che il digitale aumenta la competitività delle imprese: lo sviluppo di soluzioni innovative, unito al miglioramento dell’efficienza nella produzione generato dall’adozione tecnologica (come nel caso dell’automazione della produzione, o del monitoraggio nella catena logistica) facilitano un migliore posizionamento nelle catene globali del valore, favoriscono la nascita di nuovi lavori e il consolidarsi di una crescita duratura.

Una cittadinanza digitale consapevole deve tenere anche conto dei rischi che le nuove tecnologie introducono. L’enorme aumento di produzione di dati e di tracciamento dei cittadini e dei loro comportamenti porta con sé rischi profondi da un punto di vista etico, sociale e geopolitico. Risultano quantomai irrinunciabili e urgenti interventi che sappiano contrastare gli effetti del “capitalismo della sorveglianza”, e che restituiscano ai cittadini, alle aziende e alle istituzioni il controllo sui propri dati.

Anche l’utilizzo di nuove tecnologie come intelligenza artificiale, cloud, 5G, HPC, richiederà una sempre maggior attenzione al fine di tutelare la sovranità digitale europea, che non potrà che passare da un corretto trattamento, processamento e archiviazione dei dati di cittadini, aziende e istituzioni. I sempre più frequenti attacchi hacker subiti da aziende e istituzioni pubbliche evidenziano la nostra fragilità da un punto di vista di difesa cibernetica. Pertanto, le infrastrutture nazionali dovranno dotarsi dei più avanzati sistemi di difesa relativi alla cybersicurezza, e dovranno essere incentivate formazione e apprendimento relativi ai rischi di cyber-sicurezza per tutti i lavoratori e le lavoratrici, nonché per i singoli cittadini. Inoltre, occorrerà investire nella formazione di profili altamente qualificati, come gli esperti di analisi di dati e di cybersecurity.

Secondo il Digital Economy and Society Index (DESI), che determina il tasso di digitalizzazione di un paese, l’Italia si posiziona al 18° posto nella classifica europea, davanti unicamente a Repubblica Ceca, Cipro, Croazia, Ungheria, Slovacchia, Polonia, Grecia, Bulgaria, Romania. Esiste, pertanto, un grande lavoro da fare per concentrare risorse e investimenti necessari a colmare il gap che ci separa dai grandi paesi europei. Raggiungerli significherebbe aumentare la competitività del sistema Italia, garantire servizi della pubblica amministrazione più efficienti, e offrire strumenti maggiori ai cittadini per muoversi nel mondo globalizzato.

Consapevole della propria condizione di ritardo, attraverso il PNRR l’Italia ha destinato circa 48 miliardi di euro alla transizione digitale del Paese. Sarà fondamentale assicurare il completo utilizzo di tali risorse per compiere una profonda accelerazione sul tema.

Le tre aree di azione principali della nostra agenda politica in materia per i prossimi anni saranno:

  • Accessibilità del digitale. Non esiste digitale senza connettività. Per garantire pari opportunità e ridurre diseguaglianze, la connettività dovrà arrivare a coprire tutto il Paese in maniera uniforme, con particolare attenzione per le aree interne e marginali, che possono beneficiare più di qualsiasi altra dei servizi digitali. In tal senso, sarà necessario presidiare la messa a terra degli investimenti del PNRR per il raggiungimento di una piena connettività sul territorio italiano, e garantire comuni livelli di servizio che siano adeguati alle necessità delle aree più periferiche.
  • Educazione al digitale e investimento sul capitale umano. L’area di maggiore arretratezza rispetto alla media europea è quella delle competenze dei cittadini nell’utilizzo degli strumenti digitali, sia per il lavoro sia per essere pienamente coscienti di opportunità e rischi, ad esempio rispetto all’uso dei dati. Il PNRR da noi approntato prevede di investire esattamente su questo, con un grande piano di alfabetizzazione di massa rivolto a tutti i cittadini. Più in generale, la formazione continua che proponiamo avrà proprio il compito di implementare ed evolvere le competenze dei lavoratori, con un’attenzione specifica a chi il lavoro lo cerca o lo ha perduto, affinchè siano accompagnati in questa trasformazione.
  • Uniformità dell’offerta di servizi pubblici digitalizzati per i cittadini. La pubblica amministrazione italiana presenta una distribuzione dei servizi pubblici digitali a macchia di leopardo sui territori, nonché all’interno delle istituzioni nazionali. È necessario omogeneizzare l’offerta di servizi e la loro qualità su tutto il territorio nazionale, definendo livelli minimi di servizio digitali per la pubblica amministrazione, e monitorando il corretto adeguamento agli stessi.

Nuove tecnologie e innovazione

In un mondo globalizzato, la cui velocità di interazione accelera sempre più rapidamente, non possedere una chiara strategia nel settore dell’innovazione e delle nuove tecnologie condannerebbe l’Italia a un ruolo subalterno. Il nostro Paese raccoglie uno straordinario numero di eccellenze tecnologiche e dell’innovazione all’interno delle nostre università, del tessuto produttivo, e dei nostri più avanzati centri di ricerca. Per questo possiamo e dobbiamo invece avere un progetto.

È inoltre fondamentale tenere conto del costante aumento dei giovani italiani che decidono di emigrare, portando con sé i loro talenti e la loro preparazione acquisita nelle nostre scuole e università: l’Istat stima che dal 2006 al 2015 il numero di italiani laureati che annualmente hanno scelto di abbandonare il nostro Paese sia triplicato. Inoltre, più alto è il titolo di studi, più è alta la percentuale di coloro che scelgono di andare all’estero. Innovazione e tecnologia si sposano da sempre con creatività e inventiva, che sono caratteristiche intrinseche al nostro essere italiani, ma la mancanza di una chiara strategia industriale su settori tecnologici e strategici per il nostro Paese, sta accentuando una già enorme emorragia di questi talenti, che vanno a rafforzare la competitività di altri paesi, indebolendo il nostro sistema economico. Serve una politica industriale che crei qui le condizioni di miglior impiego e valorizzazione dei talenti, trattenendoli e attraendone da fuori.

Un ulteriore punto di attenzione è quello relativo alle nuove aziende tecnologiche emergenti, che costituiscono la potenziale spina dorsale di un nuovo tessuto imprenditoriale in grado di generare lavoro buono e di qualità per le future generazioni. La nascita di tali aziende dipende da un insieme di fattori (di investimento, di formazione, di rapidità burocratica) che dovranno essere sostenuti e di cui il Partito Democratico vuole farsi promotore. Esistono inoltre settori tecnologici (quali intelligenza artificiale, big data, quantum computing, microelettronica, cloud, high performance computing), che si consolideranno nel prossimo decennio e su cui l’Italia dovrà farsi trovare pronta, sia per adeguare il proprio tessuto industriale alle nuove sfide, sia per favorire la nascita di nuove imprese, sia per investire e rafforzare le attività di ricerca in questi settori. Tali attività dovranno essere declinate specialmente in chiave di sostenibilità, per tutelare l’ambiente che ci circonda e favorire la nascita di soluzioni in grado di migliorare le condizioni del pianeta.
Tutte le trasformazioni distruggono e creano nuovi posti di lavoro: sostituire quelli obsoleti con nuova e buona occupazione in questo campo è una scelta di posizionamento strategico nella catena internazionale del valore.

Ecco le nostre proposte:

  • Un comitato permanente per la strategia di politica industriale delle nuove tecnologie. Proponiamo di istituire una struttura che coinvolga i principali stakeholder del settore (università, startup, centri di ricerca, grandi aziende nazionali) in grado di monitorare costantemente l’andamento dello sviluppo di nuove tecnologie, al fine di mantenere sempre aggiornata una strategia industriale dedicata.
  • Una legge nazionale per i talenti. Proponiamo una legge e un pacchetto di misure per favorire il rientro dei “cervelli” attraverso incentivi, agevolazioni e servizi dedicati; garantendo un salario minimo ai ricercatori italiani che sia adeguato ai livelli internazionali; favorendo l’ingresso nel Paese di competenze altamente qualificate (es. ingegneri, tecnici, esperti di tecnologia, investitori e imprenditori del mondo digitale) di cui già soffriamo; rafforzando le attività di “terza missione” all’interno delle università e la creazione di reti di alumni; incentivando il reclutamento internazionale di docenti universitari.
  • Incentivi agli investimenti per startup e PMI innovative e aziende tecnologiche. Oltre alla stesura di un “libro bianco” che riassuma e identifichi le agevolazioni disponibili per questo tipo di imprese, è essenziale aumentare gli incentivi fiscali per fondi previdenziali e casse assicurative affinché destinino parte delle proprie risorse in venture capital e altri investitori professionali. Inoltre, proponiamo di potenziare i meccanismi di crediti di imposta per ricerca e sviluppo per startup e spin-off innovativi, nonché di migliorare le condizioni di tech-transfer di tecnologia dal mondo universitario a quello dell’impresa.
  • Favorire l’adozione di nuove tecnologie da parte del tessuto imprenditoriale tradizionale italiano. Attraverso maggiori strumenti di incentivo alle imprese per utilizzare le nuove tecnologie emergenti e testarne efficacia e benefici senza rischi per l’impresa stessa.
  • Percorsi di sviluppo della cultura imprenditoriale. Incentivare e finanziare all’interno delle università lo sviluppo di corsi dedicati allo sviluppo della cultura imprenditoriale negli studenti, nei ricercatori e nei docenti, per favorire la nascita di nuove aziende tecnologiche.
  • Formazione permanente per la cittadinanza digitale. Essere cittadini oggi vuol dire essere cittadini anche digitali, coscienti dei propri diritti, delle opportunità e dei rischi delle nuove tecnologie, per contrastare ogni forma di abuso perpetrato tramite lo sfruttamento dei propri dati senza consenso o ad esempio con sistemi di sorveglianza potenziati dalla Intelligenza Artificiale (come il riconoscimento facciale). Per questo è necessario un sistema di formazione permanente che intrecci educazione formale e non formale oltre che gli ambiti delle organizzazioni sociali.
“È la nostra sfida, quella di un mondo nuovo, che
rispetta le persone, la natura, e crede in una nuova
economia basata non solo
sul profitto di pochi ma sul benessere di tutti (…)
E la speranza siamo noi quando non chiudiamo gli occhi
davanti a chi ha bisogno, quando non alziamo muri ai
nostri confini, quando combattiamo ogni forma di
ingiustizia. Auguri a noi, auguri alla nostra speranza”

David Sassoli

Mi candido alla segreteria del Partito Democratico perché credo nella politica come strumento di partecipazione e di cambiamento. E perché credo nella sinistra come motore della giustizia sociale, del progresso economico e della libertà di tutte e di tutti.

È un impegno che prendo con la mia comunità politica: con le democratiche e i democratici che hanno fondato il PD; con coloro che c’erano e poi se ne sono andati perché delusi, ma che aspettano un cambiamento per tornare; con chi, nel frattempo, è arrivato e con chi potrebbe decidere di unirsi a noi, per la prima volta; con le nostre amministratrici e i nostri amministratori, che quotidianamente stanno sul territorio a contatto con le persone e i loro problemi, provando a dare le risposte che servono o quelle possibili. Prendo questo impegno con le volontarie e i volontari del nostro partito, perché non si sono mai arresi, nonostante tutto, e perché con la loro passione animano ogni giorno il Partito Democratico.

Questa è la nostra comunità, la nostra gente.

Faccio un passo avanti e chiedo a tutte e tutti di farlo insieme a me. Per rigenerare le energie che servono al nostro partito e al nostro Paese; per far vivere i nostri valori, le nostre idee e le nostre battaglie in questo tempo e in questa società; per rinnovarne i gruppi dirigenti e formarne di nuovi, guardando ai più giovani; per costruire, insieme a quanti vorranno starci, un nuovo centrosinistra più grande e più forte, capace di battere la destra nelle urne e di tornare al governo, la prossima volta, per migliorare davvero l’Italia.

È un impegno che insieme prendiamo con l’Italia e per l’Italia, con la nostra democrazia repubblicana nata dalla Resistenza antifascista e radicata nell’Unione europea: rispettando i nostri avversari politici, che hanno vinto le elezioni del settembre 2022, ma costruendo in Parlamento e nel Paese l’opposizione più ferma ed efficace ad una destra che continua a fomentare paure e divisioni, e che è incapace di garantire giustizia e coesione sociale, crescita economica e tutela dell’ambiente, diritti e libertà per tutte e tutti.

All’Italia serve adesso un’opposizione forte e rigorosa, che sappia incalzare la destra rispetto alle sue contraddizioni e ai suoi errori; un’opposizione seria e costruttiva, che lavori sempre per migliorare e mai per distruggere, che ad ogni No sappia sempre affiancare una controproposta migliore; un’opposizione popolare, che stia tra le persone per ascoltare e confrontarsi, e per permettere alle elettrici e agli elettori, la prossima volta, di dare fiducia ad un’alternativa chiara e migliore.

Questo è il nostro obiettivo: tornare a governare, senza scorciatoie e sulla base di un chiaro e forte mandato popolare.

Rimbocchiamoci le maniche e lavoriamo per essere all’altezza di questa sfida. Torniamo a fare fino in fondo il Partito Democratico.